L'ultimo samurai dell'advertising.
UNA MIZIONEWSLETTER DEDICATA ALLE RIFLESSIONI SULLA PROFESSIONE DEL COPYWRITER E DEL CREATIVO PUBBLICITARIO, CON IL CONTRIBUTO SPECIALE DI STEFANO LOMBARDINI E L'IRONIA TAGLIENTE DI SARA PALMIERI.
Ciao,
dopo una newsletter dedicata completamente agli spot del Super Bowl (se te la sei persa puoi recuperarla qui), eccone una che guarda al mercato locale e contiene due riflessioni sulla nostra professione, la prima dal titolo “L’ultimo samurai dell’advertising” ed è mia , l’altra si intitola “Creator vs. Creativi” e l’ha scritta Stefano Lombardini (chi è Stefano? Scoprilo qui).
E poi l’immancabile e spassosa* rubrica di Sara Palmieri (*ho usato il termine spassosa perché so che le darà fastidio :-).
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L’ultimo samurai dell’advertising.
“L’ultimo Samurai” è un film che si ispira alla ribellione dei samurai di Satsuma contro il governo Mejii e racconta la storia dell’eterno conflitto fra tradizione e innovazione. Siamo nel 1877 e l’Imperatore Mutsuhito modifica la struttura politica, sociale ed economica del Giappone, abbandonando il sistema feudale per un modello più moderno di tipo occidentale.
I samurai guidati da Katsumoto, controparte fittizia di colui che viene considerato l’ultimo samurai del Giappone, e cioè Saigō Tamori, non accettano questa evoluzione e combattono all’ultimo sangue per resistere alla modernizzazione del Paese.
Nella scena finale, i samurai si lanciano all’attacco delle truppe dell’imperatore a cavallo con le katane sguainate. Dall’altra parte, sopra una collina, i soldati li aspettano armati di fucili, cannoni e mitragliatrici.
Ti lascio immaginare l’epilogo.
Anzi, no, te lo spoilero: è un film del 2003 e se non l’hai ancora visto, pazienza.
Il carismatico Katsumoto spira crivellato di colpi fra le braccia di Tom Cruise e, fissando i fiori di pesco trasportati dal vento, sussurra: “perfetti, sono tutti perfetti”. L’ultima frase di Katsumoto è chiara: è il momento perfetto per morire.
Siccome non faccio recensioni cinematografiche, ti starai chiedendo perché questa newsletter parla di un film che ha più di vent’anni. Semplice, perché la condizione dei samurai di Katsumoto, o Saigō Tamori se preferisci, ricorda quella dei copywriter e dei creativi di oggi, che si trovano di fronte a una scelta: accettare l’innovazione o resisterle?
Rifiutare l’innovazione significa passare a miglior vita, nel senso di chiedere il prepensionamento e trasferirsi con tutta la famiglia in Portogallo, aprire il tanto agognato agriturismo, oppure scrivere il best seller rimandato da sempre. Perché l’innovazione iniziata anni fa con il digital, e oggi velocizzata dall’arrivo dell’Intelligenza Artificiale, non si arresterà.
Anzi.
Ma un grave errore sarebbe quello di rinunciare completamente alla tradizione, soprattutto ai valori più importanti che la sostengono. C’è una specie di codice etico che ogni creativo pubblicitario segue, come i samurai seguivano il Bushido, regole non scritte ma rispettate e tramandate da tutti i professionisti della comunicazione, di generazione in generazione.
Una di queste regole è che l’originalità ha un valore. Un enorme valore.
Un creativo ancora oggi è giudicato più bravo di altri se è capace di trovare idee nuove, a cui nessuno ha mai pensato. Mentre non sono mai stati visti di buon occhio i creativi che sfogliano gli annual per copiare o quelli che scrollano Ads of the World solo per rubare le idee.
Il pericolo di oggi è che ci sono agenzie che copiano in maniera sistematica. In televisione si vedono spot tutti uguali perché vengono presentati solo con rubamatic. E basta avere qualche anno di esperienza per accorgersi che la maggioranza delle idee ritenute sorprendenti sono brutte copie di campagne uscite cinque o dieci anni fa.
Un’altra regola non scritta è che in un pitch di comunicazione il progetto migliore vince sempre.
Purtroppo sta diventando un’eccezione, perché alla fine risulta più importante indovinare i gusti del cliente. Tanto che in molti casi i brief di gara si potrebbero eliminare. Perché a cosa servono ancora le strategie o gli insight funzionali al target di riferimento? Non sarebbe più utile investire in una veggente che legga le foglie di tè per indovinare l’Influencer che piace tanto alla moglie dell’amministratore delegato?
L’ultima regola, la più importante, è che la pubblicità deve anche intrattenere.
Perché siamo tutti consapevoli che in fin dei conti sia una grande rottura di palle e, per farci perdonare dell’ingerenza, abbiamo sempre cercato di mettere nelle campagne un pizzico di emozione, di ironia, di intelligenza.
Ma la pubblicità contemporanea sta diventando la cosa più piatta e pervasiva del mondo. È un continuo “guarda qui”, “clicca qui”, “compra qui”, e tutto per colpa di un equivoco: molti uomini di marketing hanno scambiato la prepotenza per persuasione.
Se i vecchi samurai spariranno, pazienza, è probabile che abbiano fatto il loro tempo. Spero solo che alcune delle regole del loro codice sopravviveranno. Perché non mi eccita l’idea di creativi armati di fucili e di mitragliatrici ma sempre con qualcuno sopra di loro che gli dice dove andare, quando sparare, cosa pensare.
È il momento di cambiare, prepararsi all’inevitabile evoluzione, anche piuttosto velocemente. Ma se è vero che non vale la pena passare a miglior vita per una vecchia katana, è altrettanto vero che vale la pena battersi per i nostri valori più profondi.
Quelli sono da difendere con tutte le nostre forze.
Perché quando avremo rinunciato anche a quelli, allora sì che avremo perso e potremo essere semplicemente sostituiti, senza nemmeno accorgercene. Così, di Bot.
Creator vs. Creativi (di Stefano Lombardini)
Mizio mi ha chiesto di scrivere una breve riflessione su questo tema. Mi è venuto in mente di introdurla con un esempio concreto: I creativi di Unieuro è una serie di video su TikTok che ha avuto grande successo; chi legge questa newsletter è probabile che la conosca. È stata realizzata da un’agenzia di comunicazione, BCube, ma tra i credits della campagna – oltre a vari creativi dell’agenzia – compare anche, come sceneggiatore, Claudio Di Biagio. Che potremmo definire proprio un creator: è stato uno dei volti storici di Youtube Italia e da anni lavora come – copio incollo dal suo sito – filmmaker, web creator, speaker radio, regista di programmi tv e commercial.
Dunque la questione è: per questa campagna copywriter e art director d’agenzia hanno collaborato felicemente con il creator, ma i creator potrebbero soppiantare del tutto i creativi? I brand potrebbero rivolgersi direttamente a loro, bypassando le agenzie?
Come tutti i discorsi complessi, si può semplificare con la parola magica dipende. Per certi materiali di comunicazione le aziende avranno sempre bisogno di strutture e professionisti dedicati – lo youtuber non può farti la promozione sul punto vendita, insomma – ma, per altri tipi di progetti, alcuni creator forse potrebbero tirar fuori qualcosa di più originale, dirompente, rischioso. Ciò che una volta in realtà facevano le agenzie ma che oggi, schiacciate dalla settorializzazione, dagli algoritmi, dai big data, dalle burocrazie e dai mille tentacoli del marketing, faticano moltissimo a proporre.
Piuttosto, detto con mestizia, le agenzie credo resteranno indispensabili per “normalizzare” i creator, proprio come fanno coi loro stessi creativi: ricondurre entro logiche commerciali certe trovate troppo estrose, fare da cuscinetto col cliente. Competenze e sensibilità che un creator estraneo al mondo dell’adv non può improvvisare e, probabilmente, non desidera neanche maturare.
Altro esempio: durante l’ultimo Sanremo, lo spot più applaudito è stato quello di MV Line realizzato dall’agenzia factory creativa Micidial di Maccio Capatonda. In questo caso, grazie alla sua ormai lunga esperienza (anche) come creativo e regista di spot, si è "normalizzato" da sé rispetto ai canoni del linguaggio pubblicitario. Facendo un bel lavoro, ma che avrebbe potuto benissimo ideare anche un copy d’agenzia (credo che chiunque, specie per un radio, prima o poi in qualche salsa abbia proposto la trovata dei problemi audio nello spot).
Cosa accade invece quando un’azienda – intelligentemente, nel caso che sto per linkare – chiede a un creator di grande talento di realizzare in autonomia una pubblicità, dandogli totale carta bianca? Quando, al contrario della serie di Unieuro, non c'è nessun professionista del marketing a “normalizzare”? Può accadere che il creator, mettendoci la stessa cura maniacale di scrittura, regia, interpretazione e montaggio che dedica ai propri video non sponsorizzati, può tirar fuori una promozione geniale. Che, al contrario dello spot di Maccio, da un'agenzia non sarebbe mai potuta mai uscire. Non così.
Poi certo, Barilla difficilmente andrà mai dall'autore di un capolavoro folle ed estremo come Impatto Genshin a commissionargli uno spot del Mulino Bianco da mandare sulla tv nazionale (anche se sarebbe interessante, tipo uno spot della Conad realizzato da Takashi Miike con sparatorie e cadaveri tra gli scaffali al posto del cagnolino fiabesco). Certi brand in giacca e cravatta avranno sempre bisogno di certe agenzie in giacca e cravatta. E, al limite, solo dei creator disposti a farsi incravattare pure loro, che sono sempre di più. Ma ad altri brand, come è sempre stato, potrebbe interessare qualcosa di diverso. Non nel senso di migliore o peggiore, ma con obiettivi diversi, visioni diverse, scommesse diverse. Giacca e cravatta funzionano benissimo in certi contesti, ma in altri – anche imprevedibili – potrebbe avere più successo una canotta sbrindellata a tinte psichedeliche, un tutù di foglie, uno scafandro cibernetico.
Bisogna avere il coraggio di crearli e poi indossarli, però.
Le agenzie (e i clienti) ce l'hanno ancora?
Stefano Lombardini
Secondo appuntamento dell’anno con l’ironia tagliente di Sara Palmieri, anche se siamo già a marzo inoltrato, ma non è colpa sua, bensì della mia indolenza.
Ma se sei addicted dei suoi contenuti, puoi seguire Sara sul suo profilo Facebook, oppure su LinkedIN, intanto goditi la sua nuova rubrica L’AMORE.
Fresh Stuff.




Sicuramente hai già visto i bellissimi annunci stampa di Magnum dal titolo Find Your Summer. Una campagna molto elegante pensata per destagionalizzare il prodotto. Le fotografie sono state scattate a Glasgow, una delle città più fredde della Scozia e dell’intera Gran Bretagna, da Ale Burset.
Quello che vedi sotto è invece il film della campagna, altrettanto raffinato e interessante. L’agenzia è LOLA MullenLowe Madrid, il regista è Juan Cabral.
What would you drive if you didn’t need to è il concetto alla base di questo bel novanta secondi di DDB Sidney per Volkswagen. Regia di Steve Rogers.
Ecco un’altra creatività impattante di Uncommon London, con un insight che mi appartiene: procrastinare all’infinito quando c’è da fare un lavoro manuale.
Lo spot è per il brand B&Q e si intitola You can do it, when you B&Q it.
TBWA Paris realizza un film dal trattamento piuttosto originale per l’home delivery service di McDonald’s.
The Power of Pacific, dell’agenzia Revolver, è il commercial che promuove il Super Rugby Pacific. Un’execution davvero interessante.
È il mese del bianco e nero: il rapper A$AP Rocky e la sua voce calda sono protagonisti di questo spot Puma dal titolo A$AP ROCKY MEETS THE MOSTRO.
Stessa voce, stesso stile, stesso protagonista. Ma questa volta il registro è Noir invece invece di Horror. Il film si chiama Born to steal: Yours, Mine, Ours ed è stato realizzato per Lux Balm di Fenty Skin.
Oltre a A$AP Rocky e alla sua voce, goditi la presenza di una cleptomane affascinante come Rihanna.
Chi sono.
Mi chiamo Mizio Ratti e faccio il copywriter da più di trent’anni.
Se questo non ti basta posso aggiungere che attualmente sono Direttore Creativo e Partner di due agenzie di comunicazione: Enfants Terribles e Hallelujah. Se poi hai un carattere stalker e vuoi saperne tutto su di me puoi trovare molto di quello che mi riguarda qui: linktr.ee/mizioblog