[mizionewsletter] Do Black Lives Matter?
Ciao {{first_name}},
in questa newsletter si parla di attualità. Attualità mista comunicazione, naturalmente. Racconto di brand come Nike, P&G, Lego, Cisco e di personaggi come Colin Kaepernick, Scott Galloway e Michael Jordan.
Ma partiamo dall'inizio.
L'uccisione di George Floyd ha sconvolto gli Stati Uniti, e non solo. Milioni di persone si sono attivate, sia in modo violento sia con manifestazioni pacifiche.
E anche i brand non sono certo rimasti a guardare.
Il continuo impegno di Nike.
Nike, come sempre, è stato il primo brand che si è schierato: ha ripreso il suo claim storico, Just do it, e per l'occasione lo ha trasformato in For Once, don't do it.
Come ho detto, Nike non è nuova a comunicazioni del genere. Nel 2018 aveva suscitato scalpore la campagna con protagonista Colin Kaepernick, ex quarterback dei San Francisco 49ers che, per protestare contro le continue violenze della polizia nei confronti degli afro-americani, nel 2016 decise di non alzarsi durante l'inno nazionale suonato puntualmente prima delle partite di football americano (dato il nazionalismo degli americani, immaginate solo quanto abbia fatto scalpore quel gesto).
All'inizio restò seduto, poi prese a inginocchiarsi (kneeling).
È proprio dal gesto di Kaepernick che è stato mutuato lo kneeling di questi giorni, per dimostrare solidarietà al movimento Black Lives Matter. La postura non ricorda certo, come molti equivocano, l'azione del poliziotto Derek Chauvin, responsabile della morte di George Floyd.
Ma torniamo a Nike: nel 2018 il brand fece uscire questa bellissima campagna in bianco e nero.
Believe in something. Even if it means sacrificing everything è il titolo.
Il concetto della campagna era semplice: Colin Kaepernick si era esposto per la causa in cui credeva, la violenza della polizia statunitense nei confronti degli afro-americani, e per questo aveva dovuto sacrificare la sua carriera.
I 49ers, infatti, non hanno rinnovato il contratto al loro ex quarterback e Colin è free agent (leggi disoccupato) dal 2017.
Nike realizzo anche un commercial dal titolo Dream Crazy con immagini di sfide sportive incredibile e la voce narrante di Colin Kaepernick, appunto.
Quanto è autentico il Purpose Marketing?
Ora, caro {{first_name}}, sei troppo intelligente per non comprendere che le cose non sono mai solo bianche o nere, ma hanno sempre sfumature di grigio.
I 49ers, oltre a essere la squadra per cui tifo, hanno base nella fantastica città di San Francisco, in California, e cioè nell'enclave più progressista degli Stati Uniti. Questo per dirti che non hanno licenziato il buon Colin Kaepernick perché si è esposto. O, almeno, non solo.
Colin era un ottimo giocatore, ma non certo un campione. Fu draftato nel 2011 come seconda scelta e, al massimo della carriera, finì all'81° posto della NFL Top Ten. Però nel 2012 fece un'annata magnifica portando i 49ers al SuperBowl, perso contro i Ravens.
Quella sconfitta nella finale segnò la carriera di Kaepernick, che mostrò sprazzi di talento ancora nel 2013, facendo arrivare i 49ers ai playoff, ma poi si distinse sempre meno, fino ad arrivare al 2016.
Per onestà intellettuale va precisato che Kaepernick fu tagliato dai 49ers primo perché non aveva confermato il suo talento, ma soprattutto perché il suo contratto era uno dei più cari della Lega (216 milioni di dollari in 6 anni) e, forse, un po' perché si era esposto per la causa in cui credeva.
Aggiungiamo il fatto che Nike non è l'unico brand, e neppure il primo, che si è occupato della causa degli afro-americani.
Nel 2017 Procter&Gamble è uscita con la bellissima campagna The Talk che l'anno successivo ha vinto il Grand Prix ai Cannes Lions e si è aggiudicata gli Emmy Awards.
Autrice di questa campagna è Teneshia Warner che è stata la prima donna afro-americana a ritirare un Grand Prix sul palco di Cannes, nel 2018.
Egami, l'agenzia multiculturale di cui è Founder e CEO, era stata infatti chiamata da P&G per affiancare l'agenzia BBDO nel rilancio del progetto My Black is Beautiful.
Il risultato è quel bellissimo film che avete appena visto.
Scott Galloway, il flagellatore dei Brand.
Dunque, caro {{first_name}}, a ben vedere la leadership di Nike nel Purpose Marketing va un po' rimessa in discussione.
È interessante anche il punto di vista di Scott Galloway, celeberrimo professore di marketing alla Stern School of Business di New York.
Nella sua ultima newsletter, Galloway dice che l'impegno di Nike è in realtà un rischio calcolato, perché le persone di colore rappresentano la stragrande maggioranza del target del brand, composto perlopiù da ragazzi sotto i 35 anni (millennials e GenZ più sensibili alle cause) e da persone al di fuori dei confini USA.
Ancora più interessante la sua conclusione.
Secondo Scott Galloway la Brand Equity si è spostata nel recente passato dalla Promessa alla Performance, e oggi si sta muovendo ancora dalle Parole all'Azione.
Quindi meglio di Nike stanno facendo quei brand che donano alle cause che sostengono senza strumentalizzarle, come Lego o Cisco che hanno donato rispettivamente 4 e 5 milioni di dollari per combattere le ingiustizie razziali.
MJ is always number ONE!
E se parliamo di donazioni, non possiamo chiudere questa terza mizionewsletter senza parlare di Michael Jordan che nei prossimi 10 anni staccherà assegni per 100 milioni di dollari ad associazioni che promuovono uguaglianza razziale, giustizia sociale e un accesso più ampio all'educazione.
Una posizione completamente opposta rispetto a quella che prese nel 1990 quando rifiutò di supportare nel suo North Carolina l'elezione al senato di Harvey Gantt contro il repubblicano Jesse Helms, ultraconservatore e razzista quasi dichiarato.
"Republicas buys shoes too" è la frase che gli viene attribuita in quell'occasione da Sam Smith nella biografia non autorizzata The Jordan Rules, e giustificata dal fatto che all'epoca Nike fosse il suo munificente sponsor.
E questa è una vicenda che potete approfondire guardandovi The Last Dance, uno dei documentari sportivi più belli di sempre.
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mizioblog - Pubblicità e cazzeggio dal 2006 — www.mizioblog.com Mizio Ratti è stato il primo creativo italiano ad aprire un blog. Founder di Enfants Terribles e della digital agency Hallelujah. Ha lavorato per più di 100 brand e ha vinto più di 50 pitch creativi.
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