The Copycat 1/11
DOPO CANNES COME SEMPRE VADO IN VACANZA: LE NORMALI PUBBLICAZIONI TORNERANNO A SETTEMBRE. MA NON PREOCCUPARTI: NELLE PROSSIME SETTIMANE TI TERRÒ COMPAGNIA CON UN MINI-THRILLER PUBBLICITARIO ESTIVO
Ciao,
finalmente è arrivato anche per me il momento di riposarmi un po’: riprenderò a fare scouting di progetti di comunicazione a settembre e sfrutterò l’estate per leggere i libri che durante l’anno si sono accumulati sul comodino.
Quest’anno però ho pensato di fare un esperimento: invece di sparire per due mesi interi, ho deciso di pubblicare sulla mizionewsletter un piccolo mini-thriller pubblicitario che ho scritto per divertimento nelle scorse settimane.
È un giallo ambientato, naturalmente, nel settore pubblicitario.
Si intitola The Copycat e l’ho diviso in 11 mini-puntate che ti spedirò ogni giovedì sera, così che potrai leggerlo tranquillamente in spiaggia nel week end.
Buona lettura e buone vacanze.
mizio.
The Copycat.
Le targhe sulla facciata dell’edificio riportano nomi di gente morta. Uomini, e soltanto uomini, che se anche hanno fatto qualcosa di buono nel secolo passato per il settore a cui hanno dedicato la vita, ora con i loro nomi avvizziti e privi di vita contribuiscono a perpetuare l’agonia di un’industria che sembrava indistruttibile fino a qualche anno prima: la pubblicità, che adesso galleggia in una crisi senza fine. Eppure quegli uomini, forse un tempo eroi e oggi importanti solo per la toponomastica, sono meno morti di quel cadavere ritrovato in uno dei ventiquattro bagni dell’enorme ufficio senza pareti a cui qualche buontempone ha dato il nome open space. Un copywriter ucciso, che è anche la ragione principale per cui è arrivata lì questa mattina, l’unico motivo per cui si ritrova costretta a entrare in un’agenzia di pubblicità dopo tanti anni.
Scende dalla moto, toglie il casco integrale e libera i capelli neri, troppo lunghi per come li dovrebbe portare un Commissario di Polizia, troppo corti per evitare pregiudizi sul suo genere. Ma è da quando ha compiuto sedici anni che ha deciso di fregarsene dei pregiudizi, così mette il casco sotto il braccio e supera con passo deciso l’ingresso dell’agenzia. Non ha bisogno di chiedere informazioni alla receptionist perché c’è un uomo vestito con un completo elegante che la aspetta. E quest’uomo, con espressione sorpresa, le chiede: – il commissario Berni?
Anche senza fare ricorso alla sua capacità intuitiva capisce che il suo vice l’ha preceduta. Come tutti all’interno del commissariato non perde occasione di chiamarla con quel soprannome, Berni. Ma se per gli altri quel nomignolo rappresenta un gioco innocente, quasi simpatico, per Alfio Casella nasconde un’attitudine passivo-aggressiva e un malcelato astio nei suoi confronti. Il suo vice non riesce ad accettare di essere il sottoposto di una donna più giovane e in gamba di lui e, soprattutto, una donna che non si può scopare. Alfio è il misero prodotto finale di una becera mentalità di provincia, un modo di ragionare ottuso e patriarcale che fa fatica a estinguersi. E lei sa bene che non può fare niente per cambiarlo, che è troppo tardi per disinnescare i suoi bias cognitivi, e che alla fine può solo far sì che il suo disprezzo sia giustificato. Così appena rientrerà in commissariato lo metterà di ronda notturna nei pressi del campo Rom di via Bonfadini. I Rom, altra gente nei confronti della quale Alfio Casella nutre profondi pregiudizi.
– No, sono la commissaria Annamaria Rizzo, – lo corregge lei.
Il signore dal completo elegante si presenta a sua volta: – piacere, sono Ludovico Angeloni, l’amministratore delegato del Gruppo.
La commissaria Rizzo gli stringe la mano, ma deve trattenere un’espressione di ribrezzo, il fastidio che prova nel sentire sotto i suoi polpastrelli la pelle lucida e fredda dell’amministratore delegato. Angeloni esprime la stessa empatia di un caimano, ha modi educati e formali ma nasconde qualcosa di cattivo nella profondità abissale dei suoi occhi. Insieme a lui Annamaria si sente al sicuro come nello studio medico di Josef Mengele oppure come ospite della famiglia di Charles Manson. Il primo pensiero è quello di voltarsi e scappare, il secondo è bruciargli i testicoli con i cavi elettrici che tiene nel bauletto della moto. Il terzo pensiero è quello che prevale: lo segue fino alla scena del crimine.
– La vittima è Fabio Palombella, uno dei creativi più esperti dell’agenzia. Un bravo copywriter che lavora per noi da una vita. Lavorava, volevo dire. Nel senso che negli ultimi anni aveva scelto di fare il freelance per seguire meglio la sua attività come scrittore, ma spesso veniva comunque in agenzia. Lavorava, anche nel senso che è evidente che da domani non lavorerà più, essendo stato ucciso. Ad ogni modo… uhm… spero di essermi spiegato. L’ha trovato l’uomo delle pulizie questa mattina in uno dei bagni dell’agenzia. Ieri sera ha fatto tardi per finire una presentazione importante. Nessuno l’ha visto uscire. Ed effettivamente.
– Grazie, – lo interrompe la commissaria Rizzo, – se ho bisogno di una sua dichiarazione ufficiale so dove trovarla. Grazie.
Ludovico Angeloni la accompagna fino alla soglia del bagno, poi la saluta. L’ambiente è piccolo e angusto: i tre uomini della scientifica si muovono con circospezione bardati con tute e calzari di plastica. Dentro una delle toilette c’è la vittima, dentro l’altra c’è il vice commissario Alfio Casella che ha trovato l’unico angolo dove non può inquinare la scena del crimine.
– Berni!
– Hai trovato il tuo posto ideale, Casella, attento che qualcuno non tiri lo sciacquone, – lo zittisce la commissaria che subito dopo si dedica all’osservazione della scena del crimine. Fabio Palombella, il morto, è seduto sopra il cesso come un pupazzo privo di vita. Ha il volto reclinato a destra e un grande taglio sotto la gola. Un secondo taglio è all’altezza della mascella, da cui parte un lembo di pelle sollevato come se qualcuno avesse voluto mutilarlo orrendamente per asportargli la pelle del viso. Il lavoro, però, è stato interrotto a metà. Sotto il cadavere c’è una grande macchia di sangue con al centro un cerchio regolare di una ventina di centimetri di diametro, pulito, come se in quel punto l’assassino avesse appoggiato qualcosa prima di torturare il copywriter. Alla sinistra del morto c’è un’altra chiazza umida che sembra vomito, mentre sopra c’è una scritta rossa fatta probabilmente con il sangue: IO AMAZZO.
– Scommetto che l’assassino voleva asportargli la pelle del viso, ma non ha fatto in tempo perché ha sentito un rumore o qualcosa che lo ha costretto a scappare, – dice Alfio Casella con tono saccente.
– Casella, guarda che il libro di Faletti l’ho letto anch’io, – gli risponde la commissaria.
– Allora non c’è dubbio che abbiamo a che fare con un serial killer.
– Dici? Io direi piuttosto che abbiamo a che fare con un coglione. È probabile che abbia provato a scarnificare il volto della vittima, ma poi si è impressionato e gli è venuto da vomitare. Vedrai che il vomito non appartiene a Palombella e se facciamo l’esame del DNA è probabile che avremo quello dell’assassino.
– Mi sembra una tesi assurda. E poi perché avrebbe dovuto copiare Io Uccido di Faletti?
– Questa è la prima domanda intelligente che fai Casella.
– Quindi? – ribatte arrogante il vice.
– Di certo non è un genio della scrittura: ha pure fatto un errore di ortografia.
La commissaria Rizzo esce dal bagno e lascia la scena del crimine agli uomini della scientifica. Anche se l’assassino potrebbe essere un coglione e un ignorante come pensa, non va sottovalutato il fatto che è pur sempre un efferato omicida, uno che non si è fatto rimorsi a copiare una delle scene più famose e crudeli dei gialli contemporanei. E magari non è una persona intelligente come il protagonista del libro di Faletti, ma è ugualmente uno psicopatico. Un copycat, un copycat letterario illetterato. Il copycat dei copywriter, forse.
Qualcuno riderebbe di quel gioco di parole, e cioè il copycat dei copywriter, ma non lei. E non per rispetto della vittima o perché si sia appena trovata di fronte a una scena drammatica. Piuttosto perché i giochi di parole non l’hanno mai fatta ridere, li ha sempre odiati. E quel disprezzo è la diretta conseguenza del suo soprannome: Berni.
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Altre cose da leggere quest’estate.
Se la lettura di questo mini-thriller non ti basta, puoi leggere uno dei post più letti di sempre di mizioblog, UNA VOLTA QUI ERA TUTTO CAMPAGNE, un articolo che parla del cambiamento del settore pubblicitario negli ultimi vent’anni, oppure il suo follow-up, NON DITE A MIA MADRE CHE FACCIO ILL CREATOR… LEI MI CREDE CREATIVO IN UN’AGENZIA DI PUBBLICITÀ che tratta invece nello specifico dei cambiamenti della professione di creativo.
Ci sono anche due libri che ti ho consigliato ultimamente e che se ami il nostro mestiere potresti leggere.
Il primo volume della nuova collana BILL, dedicato a Howard Gossage, il più originale e innovatore tra i mad men, e che si intitola L’UOMO CHE INVENTÒ IL VERDE - HOWARD GOSSAGE E LA NASCITA DELLA COMUNICAZIONE AMBIENTALISTA. È stato scritto da Paolo Egasti.
E poi il libro CON LE PAROLE SI FANNO MIRACOLI - NOTE SULLA SCRITTURA PUBBLICITARIA E SUL LINGUAGGIO di Doriano Zurlo.
Infine non perdere i Suggerimenti per copywriter in erba su Treccani.it, sempre di Doriano Zurlo, specie quelli sugli aggettivi. Qui puoi leggere la prima parte, ma c’è anche una parte 2, una parte 3, una parte 4 e una parte 5. Più altri contenuti su temi come la Collisione, lo Sguardo, il Cliché, l’Altalena.
Ancora buona lettura.
Chi sono.
Mi chiamo Mizio Ratti e faccio il copywriter da più di trent’anni.
Se questo non ti basta posso aggiungere che attualmente sono Direttore Creativo e Partner di due agenzie di comunicazione: Enfants Terribles e Hallelujah. Se poi hai un carattere stalker e vuoi saperne tutto su di me puoi trovare molto di quello che mi riguarda qui: linktr.ee/mizioblog
Sono di Lerici, anche se sono emigrato a Milano negli anni ‘90, e sicuramente passerò lì qualche giorno quest’estate. Quindi, se dovessi passare anche tu dalla Liguria, mi raccomando: non mi cercare e non provare a contattarmi. Perché i liguri sono poco ospitali, e io non faccio eccezione, specie con i foresti e soprattutto d’estate. Ma sono comunque sufficientemente gentile da augurarti buone vacanze :-)