Salvate il soldato Armando.
È USCITA LA CAMPAGNA "OPEN TO MERAVIGLIA" DEL MINISTERO DEL TURISMO ED ENIT, FIRMATA DA ARMANDO TESTA, E SUI SOCIAL TUTTI QUANTI NE SPARLANO. MA È DAVVERO COSÌ BRUTTA E SBAGLIATA?
Ciao,
è indubbio che l’hot topic del momento sia la campagna OPEN TO MERAVIGLIA.
Tutti i miei contatti social ne hanno parlato e quasi tutti l’hanno criticata fortemente. L’ha criticata la stampa: Artribune la definisce “… una pubblicità vecchio stampo, superata, cringe, stereotipata e persino a rischio di cadere nel kitsch”. E l’autrice del pezzo, Livia Montagnoli, si è sorpresa che l’abbia ideata un’agenzia come Armando Testa. Mentre Vittori Sgarbi è stato ancora più lapidario: “… una roba da Ferragni”.
Devo ammettere che la mia prima impressione è stata “santo cielo!”, poi mi sono chiesto se dovessi parlarne nella mizionewsletter, dato che ne avevano già parlato tutti, e questa settimana di riflessione mi è servita per analizzare la campagna con distacco e aggiungere un contributo che, se non sarà particolarmente intelligente, spero sarà almeno utile in quanto arriva da una persona che di campagne ne ha fatte tante ed è consapevole che alcune di queste erano belle ma altre davvero brutte.
Parto da un presupposto.
Chi dice “bene o male non importa, l’importante è che se ne parli” secondo me non capisce niente, oppure non è un professionista della comunicazione.
È un equivoco nato ai tempi di Oliviero Toscani, quando il fotografo faceva quelle famose campagne per Benetton. Annunci che funzionavano perché segmentavano il target, e dividevano chi le amava (giovani provocatori) da quelli che le odiavano (adulti conservatori). Erano campagne furbe, più che intelligenti, che agivano sull’eterno desiderio dei giovani di superare lo status quo.
Ma quello stile di Shockvertising portato all’eccesso mandò in rovina sia il brand sia la carriera del fotografo. Nel 2000, dopo la campagna Sentenced to Death, lo Stato del Missouri accusò il fotografo di falso fraudolento per aver scattato foto a condannati a morte sulla sedia elettrica senza specificare che sarebbero state sfruttate per una campagna pubblicitaria. Anche per questo, una catena di grandi magazzini USA boicottò il brand Benetton dando inizio al suo lento ma inesorabile declino.
La pubblicità non è arte che può permettersi di non piacere, deve invece ricercare il gradimento del pubblico. Detto questo, bisogna però comprendere qual è il pubblico a cui si rivolge e ricordarci che viviamo in bolle social: riceviamo aggiornamenti da persone a cui diamo i like, che la pensano come noi e quindi siamo portati a rafforzare i nostri giudizi che, a forza di non essere contraddetti, si trasformano in pregiudizi.
Nella mia bolla social di addetti ai lavori della comunicazione OPEN TO MERAVIGLIA non piace, perché anche a me a prima vista non piace. Ma la domanda da porsi è se piace alla gente comune e, soprattutto, se piace al target a cui è rivolta. E il target a cui si rivolge non è certo la gente che si diverte a smanettare con l’AI.
“La facevo anch’io con 20 euro al mese di MidJourney e il titolo scritto con ChatGPT invece di dare 9 milioni di euro al’Armando Testa” è la versione contemporanea del vecchio e insopportabile adagio“una cosa così la può fare anche mio cugino che fa il grafico”.
Ma è davvero così?
Questo è uno degli esempi raccolti sui social (non cito l’autore perché l’autore è in realtà MidJourney e non chi ha scritto il prompt e anche perché MidJourney se ne frega dei diritti d’autore). Pensi davvero che questa cosa abbia personalità?
Bisogna specificare anche un’altra cosa: solo gli ignoranti o le persone in malafede possono affermare che Armando Testa ha guadagnato 9 milioni. Quello è il budget complessivo. Il fee per questo tipo di campagne può aggirarsi tra il 5% e il 10% (anche meno considerando che c’è di mezzo una gara pubblica), mentre il resto viene speso in pianificazione. Sono soldi che vanno in stipendi e possono permettere di pagare le persone come meritano. Perché dobbiamo lamentarci quando un’agenzia è ricompensata bene e dobbiamo essere contenti quando i wannabe copywriter nomadi digitali si bullano di guadagnare 10 euro ad articolo? Un’altra cosa che non capisco è perché i creativi sono talmente autolesionisti da tifare per l’Intelligenza Artificiale invece che per altri colleghi in carne e ossa.
Ma torniamo all’analisi della campagna (intanto qui sotto puoi vedere qualche meme).
Consapevole che mi attirerò critiche, dico che secondo me il concetto funziona.
OPEN TO MERAVIGLIA è incisivo, memorabile, e si integra bene con il logo grafico della bandiera tricolore che prende le sembianze grafiche di una finestra aperta. Il turista che arriva in Italia lo capisce subito e, secondo me, apprezza pure il fatto di aver inserito una parola in italiano dopo quelle in inglese (gli stranieri vanno pazzi per il suono della nostra lingua). È un claim decisamente migliore del suo predecessore: VERY BELLO.
L’idea c’è, a mio parere, poi possiamo discutere se sia brutta o bella, ma far diventare un’opera d’arte italiana un’influencer virtuale è comunque un’idea.
Il problema, sempre a mio modesto parere, è l’execution. Perché quella è davvero indifendibile. Sembra una campagna fatta con superficialità oppure da persone totalmente prive di gusto. La superficialità è confermata dal fatto che la testa della Venere sia stata appiccicata su immagini di Shutterstock, il video di presentazione è realizzato da banche immagini, con clip anche slovene, e il sito non sia stato registrato tanto che qualcuno se ne è appropriato pagandolo un centesimo.
Troppo spesso ci dimentichiamo, però, che oggi le campagne pubblicitarie più che dalle agenzie sono realizzate dai committenti. E il committente più importante di questa campagna è la Ministra del Turismo, Daniela Santanché, detta La Pitonessa.
Siccome la sua dimora milanese è vicino casa mia, ti do un assaggio del suo gusto. Non credi che per questa villetta potremmo ripetere lo stesso giudizio della Montagnoli sulla campagna: “superata, cringe, stereotipata e a rischio di cadere nel kitsch”?
Ok, probabilmente ti stai facendo la stessa domanda della giornalista di Artribune: possibile che un’agenzia importante come l’Armando Testa non sappia farsi valere? Quello che vedi qui sotto è un video che in ET avevamo realizzato per gioco più di vent’anni fa per denunciare con ironia il sempre minor peso consulenziale delle agenzie. Sappi che vent’anni dopo la situazione è peggiorata considerevolmente.
Io credo che l’estetica di questa campagna sia il frutto, forse marcio, di una mentalità delle aziende committenti che negli anni è passata da “lo fa anche mio cugino” a “non scattiamo le foto, compriamole su una banca immagine o facciamole con l’AI”.
Le agenzie sono esenti da colpe? No, certo che no, ma le motivazioni per cui il ruolo consulenziale dei professionisti della comunicazione oggi è pressoché inesistente è un argomento troppo complesso da sviluppare qui, magari lo affronterò in futuro sul blog.
E poi siamo sicuri che quesa campagna non risponda allo stile Armando Testa?
Ricordo una conversazione in cui Pasquale Barbella diceva che i mostri sacri degli anni ‘80 rispettavano Armando Testa (lui in persona) ma prendevano le distanze dal suo stile di comunicazione, perché lo giudicavano provinciale. I Barbella, i Pirella, i Pilla si ispiravano ai modelli anglosassoni allora in auge, alla raffinata ironia di Bernbach, e cioè a stilemi completamente opposti alla reclame Testiana, diretta discendente di Carosello. Non è un caso che la Testa fu per molti anni l’agenzia più grande in Italia, ma non sia mai riuscita a sfondare all’estero, nonostante ci abbia provato più volte, anche importando creativi stranieri plurivincitori di premi che però sono durati meno di uno stagista in WPP (vedi German Silva).
E ricordo anche che Armando Testa si è sempre distinta per l’utilizzo di testimonial in pubblicità (vedi Nino Manfredi con Lavazza) e quando noi creativi giovani e presuntuosi ci battevamo come giapponesi nel Pacifico per resistere all’uso di personaggi famosi negli spot, con gli spot del Provolone Auricchio introdusse addirittura il multitestimonial (Claudio Lippi, Enrico Montesano, Ela Weber…).
In sostanza, credo che l’idea della prima virtual influencer non poteva che arrivare da un’agenzia come Armando Testa che del pragmatismo, della sintesi grafica e dell’efficacia ha sempre fatto la sua filosofia, realizzando pubblicità a volte anche brutte ma che hanno sempre funzionato.
Questo è quello che penso io, ma vorrei davvero conoscere il tuo parere, quindi perché non rispondi con un commento a questa newsletter oppure ti aggiungi alla conversazione che ho iniziato su Notes?
Anche perché nel frattempo Armando Testa ha deciso di rispondere alle critiche con una pagina sui quotidiani, puoi vederla sempre su Notes e dirmi cosa ne pensi.
Il miracolo della pizza che si rigenera.
Secondo molti la virtual influencer di OPEN TO MERAVIGLIA è ispirata alla più famosa influencer italiana e la stessa Chiara Ferragni ha dichiarato su Instagram che nel 2020 le era stato chiesto di prestare il volto all’Italia, ma che non se ne era fatto niente perché non l’avevano fatta parlare del segreto della pizza che si rigenera.
Come siano andate realmente le cose non è una cosa che mi appassiona particolarmente, mi interessava invece capire cosa fosse la pizza che si rigenera ma non ho trovato informazioni precise sul web se non, forse, che potrebbe trattarsi di un disco di pasta preparato prima che si congela e poi si guarnisce a casa a piacere.
Poi ho guardato con attenzione l’immagine della Ferragni con la pizza del 2020 e ho capito. La pizza che si rigenera è una pizza che si rigenera letteralmente, e cioè prendi una fetta e questa si riforma nel piatto lasciando la pizza intatta.
Epifania: Chiara Ferragni non è stata solo d’ispirazione per la Venere di OPEN TO MERAVIGLIA ma anche per la madonna di Trevignano.
“Prendevamo le fette di pizza, ma la pizza non finiva mai” ha affermato la santona Gisella Cardia per spiegare il miracolo della moltiplicazione dei gnocchi e della pizza.
L’accoppi strategy.
La campagna OPEN TO MERAVIGLIA rischiava di mettere in secondo piano il ritorno in comunicazione dell’evergreen , “Brava Giovanna, Brava” di Fernovus, ma la mizionewsletter non poteva perdere un’occasione così ghiotta.
TARGET. Boomer e analfabeti digitali che umiliati dal progresso tecnologico trovano conforto nel Fai da Te, inteso sia come onanismo sia come bricolage.
PROMISE. Se usi Fernovus la tua prostata torna a funzionare come ai bei tempi, quando speravi ancora di poterti permettere una villetta a schiera nell’hinterland milanese e guardavi i soft-porn anni ‘80, quelli con protagonista Gloria Guida.
REASON WHY. Perché Giovanna è brava, brava come tutte le protagoniste del fumetto per adulti Lando.
SUPPORTING EVIDENCE. Il balletto finale con le braccia alzate che non significa niente ma che potrebbe conquistare qualche feticista delle ascelle.
TONE OF VOCE. Passare dallo stile Tinto Brass del vecchio Brava Giovanna, Brava a un più moderno e contemporaneo stile Onlyfans.
Fresh Stuff.
È quel periodo dell’anno in cui le agenzie si preparano a iscrivere i progetti di comunicazione, sia quelli veri sia quelli fake, ai Cannes Lions, per cui in giro non ci sono cose molto interessanti. Arriveranno di sicuro nelle prossime settimane.
Comunque, dopo dieci anni esatti dall’uscita di Sketches, Dove continua la saga Real Beauty. L’episodio di quest’anno è sempre firmato da Ogilvy ma ha perso un po’ di incisività rispetto ai bellissimi film che l’hanno preceduto. Si intitola Cost of Beauty.
Sick of plastic di Smol è stato ideato da Mother London.
Me, my autism and I di Vanish, realizzato dall’agenzia Havas London si è aggiudicato il contest Diversity in Advertising organizzato da Channel 4.
L’agenzia Nigel&Co. si è inventata un’associazione che si chiama FAAC (Federation Against Ageism toward Ads Creative) per sensibilizzare gli addetti ai lavori sulla questione dell’ageismo in pubblicità.
È la prima volta che sento parlare di ageismo nel nostro settore, di solito il problema si focalizza sullo sfruttamento dei giovani nelle agenzie di pubblicità, ma sia che queste cose vengano fatte con ironia, sia che vengano affrontate sul serio, di solito non producono risultati. Vedi la fine che ha fatto l’operazione Gentilissima Rivolta.
Ti ricordo che puoi vedere con calma tutti i film di questa newsletter sul mio canale YouTube, nella playlist mizionewsletter #52, compresi alcuni spot che ho aggiunto all’ultimo momento. E già che ci sei, iscriviti al mio Canale YouTube e attiva la campanellina così ti arriva la notifica appena carico nuovi film.
Chi sono.
Mi chiamo Mizio Ratti e faccio il copywriter da più di trent’anni.
Se questo non ti basta posso aggiungere che attualmente sono Direttore Creativo e Partner di due agenzie di comunicazione: Enfants Terribles e Hallelujah. Se poi hai un carattere stalker e vuoi saperne ancora di più su di me puoi trovare tutto quello che mi riguarda qui: linktr.ee/mizioblog
Ottima analisi sia sulla campagna Open to Meraviglia che su Fernovus Saratoga, così paradossale che la adoro.
Una considerazione su Open to Meraviglia: penso che, se ci fosse stata una gara (ma non lo so) Armando Testa avrebbe comunque vinto a mani basse per il suo "curriculum". Quante agenzie italiane sarebbero state in grado di gestire un simile budget a livello internazionale?
Di certo, sempre se ci fosse stata una gara, i creativi delle agenzie rivali hanno deciso di cambiare mestiere, di sfondarsi di alcol e droga dopo aver visto la creatività vincente.
Ma fa parte del lavoro.
Di gare ne ho perse anche io. E a volte contro campagne che rispetto a Open to Meraviglia non sarebbero entrate neanche nella speciale short list della bruttezza e della banalità pubblicitaria. 🙄
Ciao Mizio, secondo me il vero problema della campagna Open to Meraviglia non è tanto l’esecuzione quanto la presunzione. Credere che per lanciare il profilo social del Ministero del Turismo italiano possano bastare quattro foto che potrebbero andar bene al massimo per decorare il cartone della pizza. Pensare che un visual da campagna stampa possa funzionare sui social. Sostenere che un influencer possa autoproclamarsi tale e che non siano gli utenti a riconoscerli quel ruolo. E infine montare una case e venderla come un contenuto pubblicitario. Questa campagna dimostra che tutta la nostra industry, di certo non solo l’Armando Testa, abbia bisogno di un bella dose di umiltà. Perché, per arrivare alle persone, bisogna smetterla di pensare che le nostre idee siano irresistibili e iniziare a dare loro qualcosa che possa essergli veramente utile.