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Ottima analisi sia sulla campagna Open to Meraviglia che su Fernovus Saratoga, così paradossale che la adoro.

Una considerazione su Open to Meraviglia: penso che, se ci fosse stata una gara (ma non lo so) Armando Testa avrebbe comunque vinto a mani basse per il suo "curriculum". Quante agenzie italiane sarebbero state in grado di gestire un simile budget a livello internazionale?

Di certo, sempre se ci fosse stata una gara, i creativi delle agenzie rivali hanno deciso di cambiare mestiere, di sfondarsi di alcol e droga dopo aver visto la creatività vincente.

Ma fa parte del lavoro.

Di gare ne ho perse anche io. E a volte contro campagne che rispetto a Open to Meraviglia non sarebbero entrate neanche nella speciale short list della bruttezza e della banalità pubblicitaria. 🙄

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Io credo che una gara ci sia stata, ma sono d'accordo sul fatto che AT l'avrebbe vinta in ogni modo. Per quanto possa non piacere agli addetti al settore, questa campagna ha caratteristiche che possono piacere al pubblico dei turisti e, non ultimo a quello degli stakeholders ministeriali.

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Gli stakeholders ministeriali in primis 😉

Quando lavoravo in AT non potevamo partecipare a gare pubbliche per un tot di anni, dopo aver "vinto" la campagna AIDS, quella dell'alone viola.

Ma lì almeno c'era un'idea e la realizzazione era veramente da grande agenzia.

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Ricordo bene quella campagna, ha fatto la storia. Oggi sarebbe stigmatizzata per altre ragioni, come wuella di discriminare uan parte di pubblico, ma resta un grande esempio di sintesi e creatività.

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Ciao Mizio, secondo me il vero problema della campagna Open to Meraviglia non è tanto l’esecuzione quanto la presunzione. Credere che per lanciare il profilo social del Ministero del Turismo italiano possano bastare quattro foto che potrebbero andar bene al massimo per decorare il cartone della pizza. Pensare che un visual da campagna stampa possa funzionare sui social. Sostenere che un influencer possa autoproclamarsi tale e che non siano gli utenti a riconoscerli quel ruolo. E infine montare una case e venderla come un contenuto pubblicitario. Questa campagna dimostra che tutta la nostra industry, di certo non solo l’Armando Testa, abbia bisogno di un bella dose di umiltà. Perché, per arrivare alle persone, bisogna smetterla di pensare che le nostre idee siano irresistibili e iniziare a dare loro qualcosa che possa essergli veramente utile.

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Ciao Andrea, intanto devo dirti che mi fa piacere sentirti.

Qualche settimana fa ti ho pure visto da lontano all’Esselunga di via Washington mentre facevi la spesa :-)

Che dire? Hai ragione su tutto.

Quello che io penso, però, è che la maggiore responsabilità spetti alla committenza. Tutti gli errori che dici arrivano da loro. Poi, certo, l’agenzia avrebbe dovuto farsi valere in un mondo ideale, ma il nostro settore sta velocemente perdendo tutto il ruolo consulenziale che aveva un tempo, e non solo per mancanza di umiltà.

Quante volte oggi si ha la possibilità di difendere le campagne e quante volte invece arrivano feedback per email che non si possono neppure discutere?

Qualche mese fa un cliente mi ha detto che non ero “propositivo” e che stavo sempre sulla “difensiva” solo perché stavo appunto difendendo una campagna e non accettavo alcune modifiche che la stravolgevano.

È sempre più così.

E lo sarà sempre di più, purtroppo.

Le cause sono lunghe da discutere, ma la verità è che oggi le aziende riconoscono più capacità creativa a creator e influencer. E a volte nemmeno a torto.

Penso che un un immediato futuro bisognerà ripensare il modello del creativo pubblicitario.

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Grazie grazie grazie

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Prego prego :-)

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