The Copycat 2/11
CONTINUA LA VERSIONE ESTIVA DELLA MIZIONEWSLETTER CON IL SECONDO CAPITOLO DEL MINI-THRILLER PUBBLICITARIO"THE COPYCAT". IN QUESTA PUNTATA SI SCOPRE L'ORIGINE DEL SOPRANNOME DEL COMMISSARIO BERNI.
Ciao,
il primo capitolo del mini-thriller pubblicitario THE COPYCAT ha avuto un’accoglienza oltre le attese: al momento è stato letto da più di 2.500 persone.
Il primo test quindi è stato superato, ma sono curioso di sapere se continuerai a leggere anche i capitoli successivi, come quello pubblicato in questa edizione della newsletter e in cui si scopre l’origine del soprannome del Commissario Berni.
Perché il test principale consiste in questo: riuscirò a tenere la tensione del racconto per undici settimane come facevano una volta i feuilleton (o romanzi d’appendice)? E la lunghezza dei capitoli è quella giusta per lo storytelling in una newsletter? Credo che alla fine lo scopriremo insieme :-)
Ah, ne approfitto per ricordarti che le normali pubblicazioni della mizionewsletter, cioè quelle con scouting e approfondimenti vari sul mondo della comunicazione, torneranno a settembre. Io nel frattempo cerco di godermi l’estate e mettermi in pari con le letture che ho trascurato durante l’anno per impegni vari (compresa la scrittura della mizionewsletter).
Nella puntata precedente.
Se non hai letto il primo capitolo di The Copycat, puoi leggerlo » QUI «
Altrimenti ecco un piccolo riassunto.
Il copywriter Fabio Palombella viene trovato ucciso dall’uomo delle pulizie nei bagni di una grande multinazionale dell’advertising. L’omicidio ricorda il primo delitto descritto da Giorgio Faletti nel suo libro “Io uccido”: la vittima ha il volto mezzo scarnificato e sopra il corpo c’è scritto con il sangue IO AMAZZO, con una emme sola. A capo delle indagini c’è la commissaria Annamaria Rizzo, soprannominata dai colleghi il Commissario Berni. La accoglie sul luogo del delitto Ludovico Angeloni, il CEO della multinazionale di advertising.
Il Commissario Berni.
Ci sono giorni in cui il suo soprannome la irrita, altri in cui invece ne va quasi orgogliosa. Dipende. Dipende da un’infinità di circostanze. Le persone più semplici pensano che dipenda dal fatto che sia una donna, quindi in balìa degli sbalzi ormonali, mentre quelle che millantano una più ampia conoscenza dell’inconscio umano attribuiscono questa variabile impazzita alla sua fluidità di genere. Ma sbagliano. Sbagliano tutti. Quel soprannome, Berni, le piace o lo odia solo a seconda di chi lo utilizza. O meglio, a seconda dell’affetto che prova per chi insiste a chiamarla così.
Oggi pomeriggio lo tollera abbastanza, si potrebbe dire a sufficienza, perché è in visita alla persona che è la causa di tutto: il padre. Paul Rizzo è stato un copywriter, un grande copywriter del passato, uno di quelli che hanno fatto la storia della pubblicità italiana, che ha ideato le campagne rimaste impresse nella memoria collettiva, quelle amate dalla gente obnubilata dalla televisione commerciale degli anni ottanta. E la sua passione per la pubblicità era così grande che quando le nacque la prima figlia femmina decise di chiamarla Annamaria Bernbach Rizzo. Annamaria da Annamaria Testa, una delle migliori copywriter italiane di sempre, Bernbach da Bill Bernbach, il più grande copywriter di tutti i tempi.
È facile immaginare che con questo nome Annamaria Bernbach Rizzo avrebbe dovuto avere un destino segnato. Ma non fu così. La bambina odiò da subito il mestiere del copywriter. Forse perché fin dall’asilo quel suo secondo nome si era tradotto in quell’odioso nomignolo, Berni. O forse perché, prematura com’era sempre stata, le erano state sufficienti un paio di visite nell’agenzia pubblicitaria dal padre per capire che quell’ambiente era pieno di gente vanitosa e immatura. Coglioni, come era solita catalogare lei le persone per cui non nutriva stima.
Annamaria Bernbach Rizzo non aveva mai avuto un carattere facile. Il motivo forse era da ricercare in quel nome strano e difficile da portare che il padre aveva scelto per lei, o piuttosto nella scomparsa della madre che, quando non aveva ancora compiuto cinque anni, era sparita da un giorno all’altro. Da allora né lei né suo padre avevano avuto più sue notizie. Neppure l’intervento di Chi l’ha visto? era servito per ritrovarla. E in conseguenza di quella perdita Annamaria aveva iniziato a maturare per il padre un sentimento conflittuale.
Da una parte lo amava, come ogni figlia femmina stravede per il papà, dall’altra lo disprezzava per il nome che le aveva dato e perché lo riteneva responsabile per la fuga della madre. Si era convinta che a causa della sua grande passione per l’advertising, per colpa di tutti i fine settimana passati in agenzia a lavorare e di tutte le notti chiuso in ufficio per finire qualche presentazione, la madre si fosse sentita trascurata e avesse sentito il bisogno di rifarsi una vita da qualche altra parte. Quel profondo sentimento schizofrenico, quel rapporto conflittuale di odio e amore, aveva finito per condizionare il suo modo di vedere le cose. Per Annamaria Bernbach Rizzo il mondo si divideva in due: da una parte i coglioni e dall’altra gli Holmes, i Marlowe e i Maigret.
Annamaria aveva cominciato a fare pace con il padre il giorno in cui lo aveva deluso profondamente annunciandogli che, nonostante il nome che portava, non avrebbe mai fatto la copywriter ma avrebbe fatto carriera in polizia. Lo perdonò del tutto in conseguenza ai sensi di colpa quando, ai primi segni di Alzheimer, lo aveva ricoverato in una RSA dell’hinterland milanese. Ma aveva cominciato a volergli di nuovo bene e ad accettare quel nomignolo tanto odiato, Berni, solo quando le sue capacità cognitive avevano iniziato a diradarsi e il vecchio copywriter riusciva a esprimersi solo con claim degli anni ottanta.
– Papà, come stai? – gli chiede.
– O così o Pomì, – risponde lui.
Annamaria aveva capito da tempo che il dialogo con il padre era diventato impossibile. Inutile chiedergli come stesse e cosa avesse voglia di mangiare. Lui non capiva, e anche nel caso in cui comprendesse cosa lei voleva dire, poi non riusciva a rispondergli. E così ogni volta che lo andava a trovare nella RSA era lei che gli raccontava la sua vita, con l’unica attenzione di usare sempre un tono di voce calmo e rassicurante, perché aveva scoperto che i malati di demenza non riuscivano più a decifrare i significati dei discorsi ma potevano ancora distinguere emozioni e sentimenti.
– Papà, sto seguendo un caso che ti sarebbe piaciuto. Oddio, magari ti avrebbe anche spaventato dato che si tratta di un omicidio fatto in un’agenzia di pubblicità, ma di certo lo avresti trovato affascinante. Hanno trovato un tuo collega copywriter ucciso in un’agenzia del gruppo MPP. Il suo nome è Fabio Palombella, e magari lo hai conosciuto in passato. Chissà, magari poco prima che tu andassi in pensione era un giovane pubblicitario. Comunque l’omicidio sembra la brutta copia di quello con cui inizia il giallo più famoso di Giorgio Faletti, Io Uccido. È un libro che mi avevi regalato tu, ricordi?
– L’uomo che non deve chiedere mai! – interviene il padre.
– Scusa papà, lo so: non devo chiederti niente. Le domande ti stressano perché non riesci a rispondere. Perdonami. È una domanda che mi è scappata. Non importa. Il fatto è che l’omicida ha provato a copiare la scena del crimine del libro. Ma lo ha fatto male. Ha provato a scarnificare il volto della vittima ma non ce l’ha fatta, non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo. Addirittura la cosa gli ha fatto impressione e ha vomitato. La scientifica ha confermato che la macchia di vomito trovata vicino al corpo non appartiene alla vittima. La cosa paradossale, però, è che se anche ipotizzassimo di trovarci davanti un copycat letterario, cioè uno che copia i delitti dei gialli, come giustificheremmo il fatto che l’assassino è un ignorante? Infatti il coglione ha lasciato una scritta con il sangue della vittima: IO AMAZZO. Ma nel libro di Faletti la scritta era IO UCCIDO e l’omicida ha sbagliato perfino l’ortografia: ha scritto IO AMAZZO con una emme sola!
Il racconto di Annamaria viene interrotto dallo squillo del suo cellulare.
– Brondi, chi parla? – le chiede suo padre.
– Scusa papà, devo rispondere, è uno dei numeri di emergenza. E se mi chiamano oggi che è il mio giorno libero significa che la cosa è davvero urgente.
Annamaria si allontana qualche metro dal padre per rispondere al telefono: – Sì?
– Commissario Berni, sono Nerozzi della scientifica, ne abbiamo trovato un altro…
– Un altro di cosa?
– Un altro pubblicitario ucciso. Questa volta in uno studio di registrazione audio. Abbiamo bisogno che venga subito perché dobbiamo sigillare la scena del crimine.
– Ma non c’è nessuno del commissariato?
– C’è il suo vice Casella, è arrivato un’ora fa.
– Un’ora fa? E perché non mi ha avvertito? – si innervosisce Annamaria, – arrivo subito. Salgo in moto e arrivo. Mi mandi per favore l’indirizzo su Whatsapp.
Annamaria chiude la comunicazione e inspira l’aria profondamente quattro o cinque volte prima di tornare dal padre. Lo accarezza sulla testa e gli dice con dolcezza: – so che dovevamo passare il pomeriggio insieme, ma è arrivata un’urgenza, come quelle che avevi tu un tempo. Però non si tratta di una campagna pubblicitaria, questa volta è un omicidio. Anche se in realtà nell’ultimo periodo pare che queste cose coincidano dato che è il secondo pubblicitario che uccidono nel giro di una settimana. È una città che non finisce di sorprendere, questa, tranne che per le urgenze, quelle ci sono e ci saranno sempre.
– Milano da bere, – le dice il padre sorridendo e ricambiando la carezza.
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Altre cose da leggere quest’estate.
Se la lettura di questo mini-thriller non ti basta, puoi leggere uno dei post più letti di sempre di mizioblog, UNA VOLTA QUI ERA TUTTO CAMPAGNE, un articolo che parla del cambiamento del settore pubblicitario negli ultimi vent’anni, oppure il suo follow-up, NON DITE A MIA MADRE CHE FACCIO ILL CREATOR… LEI MI CREDE CREATIVO IN UN’AGENZIA DI PUBBLICITÀ che tratta invece nello specifico dei cambiamenti della professione di creativo.
Ci sono anche due libri che ti ho consigliato ultimamente e che se ami il nostro mestiere potresti leggere.
Il libro CON LE PAROLE SI FANNO MIRACOLI - NOTE SULLA SCRITTURA PUBBLICITARIA E SUL LINGUAGGIO di Doriano Zurlo.
E anche il primo volume della nuova collana BILL, dedicato a Howard Gossage, il più originale e innovatore tra i mad men, e che si intitola L’UOMO CHE INVENTÒ IL VERDE - HOWARD GOSSAGE E LA NASCITA DELLA COMUNICAZIONE AMBIENTALISTA. È stato scritto da Paolo Egasti.
Non perdere inoltre i Suggerimenti per copywriter in erba su Treccani.it, sempre di Doriano Zurlo, specie quelli sugli aggettivi. Qui puoi leggere la prima parte, ma c’è anche una parte 2, una parte 3, una parte 4 e una parte 5. Più altri contenuti su temi come la Collisione, lo Sguardo, il Cliché, l’Altalena.
Infine, se fai il copywriter oppure vorresti farlo, non puoi non aver letto qualsiasi cosa di Raymond Carver. Questa settimana ti consiglio IL MESTIERE DI SCRIVERE.
Ancora buona lettura.
Chi sono.
Mi chiamo Mizio Ratti e faccio il copywriter da più di trent’anni.
Se questo non ti basta posso aggiungere che attualmente sono Direttore Creativo e Partner di due agenzie di comunicazione: Enfants Terribles e Hallelujah. Se poi hai un carattere stalker e vuoi saperne tutto su di me puoi trovare molto di quello che mi riguarda qui: linktr.ee/mizioblog
Sono di Lerici, anche se sono emigrato a Milano negli anni ‘90, e sicuramente passerò lì qualche giorno quest’estate. Quindi, se dovessi passare anche tu dalla Liguria, mi raccomando: non mi cercare e non provare a contattarmi. Perché i liguri sono poco ospitali, e io non faccio eccezione, specie con i foresti e soprattutto d’estate. Ma sono comunque sufficientemente gentile da augurarti buone vacanze :-)