Houston, abbiamo un problema.
MI ERO RIPROMESSO DI NON TRATTARE IL TEMA #METOO NELLE AGENZIE DI COMUNICAZIONE, PERCHÉ NE HANNO PARLATO PERSONE PIÙ ADEGUATE DI ME. MA NON CE LA FACCIO. MI SCAPPA DI OFFRIRTI IL MIO PUNTO DI VISTA.
Ciao,
partiamo da una bella notizia.
L’idea della settimana scorsa di MENTOR FOR CHARITY è stata apprezzata. Molto. Le venti sessioni di mentoring che ho messo a disposizione da qui a Natale sono state prenotate nel giro di un paio d’ore, ma altrettante persone sono rimaste fuori e mi hanno chiesto se penso di allungare l’iniziativa o trovo loro un posticino.
Prometto che farò il possibile: la risposta è stata così inattesa che devo rifletterci. Questo piccolo successo mi rende euforico, ma non ti nascondo che mi mette anche pressione e responsabilità.
Quando finirò questo primo ciclo di mentoring farò un bilancio e ti racconterò, credo che più o meno sarà all’inizio dell’anno nuovo.
Come ho scritto nel sottotitolo, la questione #metoo sta continuando ad allargarsi, anche se il settore sembra voler trattare il tema come un corpo estraneo.
Evitare di esprimere il mio parere, a questo punto, mi sembrerebbe un atteggiamento ipocrita. Cercherò di farlo con equilibrio, senza sputtanare nessuno ma cercando di affrontare l’argomento con la massima onestà intellettuale. Nel frattempo, hai letto l’inchiesta dell’Espresso del 29 settembre intitolata Sex and the spot?
#metoo o #menot questo è il problema.
A giugno, pochi giorni dopo l’esplosione del #metoo nel settore dell’advertising con la pubblicazione di messaggi orribili nelle chat di alcune agenzie, sono uscito con un post su LinkedIN dove scrivevo che non volevo essere assimilato a certe brutture e comportamenti. #menot scrivevo.
Oggi non lo rifarei, e non perché ci siano state rivelazioni che hanno sfiorato le mie agenzie, ma perché ho riflettuto a lungo e ho capito che una questione che esce fuori con tutta questa forza e urgenza non può essere vista come una cosa estemporanea.
Penso che, sotto un certo punto di vista, sia una fortuna che questo scandalo abbia colpito per primo il nostro settore. Perché è un’opportunità per cambiare in meglio, e dovremmo quindi sfruttarla per rendere migliore il nostro ambiente di lavoro.
Io credo che la maggioranza dei pubblicitari della mia generazione, diciamo old school, siano brave persone, ma sono convinto allo stesso tempo che la sensibilità sia cambiata rispetto a venti o dieci anni fa: se prima una battuta poteva sembrare innocente (specifico: io per carattere non ne ho mai fatte), bisogna capire che oggi anche una semplice battuta può offendere persone che per età, cultura o anche per orientamento sessuale hanno una sensibilità diversa.
Per non parlare del resto, ben più grave, perché nel nostro #metoo non ci si è limitati alle semplici battute. Le cose di cui abbiamo avuto l’evidenza sono a volte aberranti. Sulle chat delle agenzie coinvolte non possiamo neppure trovare la scusante dei vecchi boomer perché quelle chat erano frequentate quasi esclusivamente da giovani maschi.
Il nostro ambiente si porta dietro la tradizione ludica, informale e trasgressiva degli anni settanta, quando gente che ha cercato di fare la rivoluzione si è rifugiata in un settore dove sembrava di non lavorare affatto. Erano anni in cui in agenzia si fumava, si scopava, si facevano le notti, si guadagnava bene e ogni tanto si facevano campagne. Poi sono arrivati gli anni ottanta, la Milano da Bere e le ostriche a Cannes, lo yuppismo degli anni novanta e la cocaina nei bagni. E l’ambiente non è cambiato affatto.
Ma queste cose oggi sono finite.
Chi non se ne rende conto non può più lavorare in pubblicità, perché è completamente privo della sensibilità richiesta per fare bene questo mestiere. Siamo nel 2023, solo uno stupido può ignorare che in giro c’è uno scontento che arriva da lontano, più o meno dieci anni fa, e più precisamente da quando sono finiti i soldi per stipendiare dignitosamente i collaboratori e il digital ha appiattito la creatività.
Il primo campanello di allarme è arrivato nel 2013 quando il blog Bad Avenue ha intercettato il malessere dei pubblicitari, tanto che per un paio d’anni ha raccolto centinaia di commenti anonimi al giorno. È sparito da un giorno all’altro. Puff.
Due anni fa c’è stata poi Gentilissima Rivolta. Anche qui migliaia di iscritti al canale Instagram in un paio di giorni. Ma nemmeno dopo una settimana il canale ha smesso di pubblicare perché gli autori sono stati minacciati di querela. Tutto sparito. Puff.
Adesso c’è il #metoo e, anche se l’ambiente cerca di essere impermeabile alla protesta, non credo che queste voci spariranno facilmente.
Niente puff.
Bad Avenue, Gentilissima Rivolta, #metoo: vogliamo continuare a credere che tutti i problemi nel nostro ambiente siano fittizi, che questa gente sia solo alla ricerca di visibilità, oppure è il momento di ammettere che qualche problemino c’è?
Non ho figli, ma mi piace osservare le persone: la Gen Z è completamente diversa da quelle precedenti. È più sensibile ai temi di uguaglianza, sostenibilità, ambiente, e gli importa molto meno realizzarsi con il lavoro, perché il lavoro per loro è solo uno strumento, non un fine. Non vogliono fare le notti in agenzia, non vogliono la Milano da Bere e da Sniffare, vogliono lo smart working e il tempo libero.
Prima ce ne renderemo conto, meglio è, almeno se non vogliamo scatenare uno scontro generazionale ed avere il problema di reclutare talenti, perché i giovani che vengono a lavorare in agenzia gratis per essere trattati male non esistono più (eccezioni a parte*). L’era del clima da Full Metal Jacket è finito.
Posso immaginare la reazione istintiva di molti uomini, come me d’altronde, che non si sentono colpevoli di molestie o sessismo: “cazzomene, io non ho fatto niente di male”. Ma la reazione più intelligente sarebbe quella di capire perché alcune cose che ci sembrano di poco conto possano invece ferire profondamente altre persone. Personalmente sono arrivato a una conclusione: non tutti sono colpevoli, ma nessuno è innocente.
Non voglio citare i nomi usciti una settimana fa sull’Espresso, ma nell’ambiente conosciamo tutti bene le storie che si raccontavano su un paio di questi soggetti. Nessun ambiente ne è esente, ma noi innocenti abbiamo fatto finta di non vederli.
Perché non avevamo le prove? Perché rischiavamo la diffamazione? Perché alla fine la cosa migliore è farsi i cazzi propri? Perché è l’amico? Perché è l’amico dell’amico? Perché è il capo? Perché potrebbe essere il prossimo capo?
Resta il fatto che il nostro non è l’ambientino felice che ci piace dipingere.
Alla fine della cerimonia degli ADCI Awards è stato detto: “stasera non siamo solo una Industry, siamo una famiglia.” Forse è vero, ma una famiglia disfunzionale, con qualche problemino e uno zio che tocca il culo e dice battute sconce alla nipotina.
Concludendo, c’è chi pensa che il nostro mestiere consista nell’abbellire la realtà, ma i bravi pubblicitari possiedono quelle antenne che captano i cambiamenti di costume. Una nuova generazione di persone che lavora per noi, insieme a noi, ci sta gridando che vuole il cambiamento. Ascoltiamole. Solo così diventeremo migliori.
Migliori comunicatori e soprattutto migliori esseri umani.
Se poi, dopo che avremmo realizzato che c’è un problema reale e dopo che ci saremo impegnati per risolverlo, ci saranno ancora uomini che non l’avranno capito, vabbe’, per fortuna oggi ci sono spazi a cui rivolgersi.
Fondazione Libellula ha uno sportello di orientamento e ascolto a cui puoi rivolgerti per capire in che situazione sei e come potresti procedere. Lo sportello serve perché se ti rechi in un centro antiviolenza significa che hai già un livello di consapevolezza grande (di solito ci va chi è in gravi situazioni di violenza). Lo sportello di Fondazione Libellula serve per chi non ha ancora consapevolezza, oppure non ha il coraggio, o ancora pensa che la sua situazione non sia così grave. Lo sportello, insomma, fa da intermediario. La mail è: spaziolibellula.mi@fondazionelibellula.com
Di Re:B Collective penso sappiate già tutto. Quello è il link per accedere alla Survey, al Form Anonimo per condividere la tua esperienza e al Canale Telegram.
ADCI. Da ieri è attiva la piattaforma (» QUI «) che il Club mette a disposizione di tutti i soci per segnalare abusi, molestie, sessismo e comportamenti scorretti. Mentre per le socie è previsto anche un aiuto (24/24) da Telefono Donna: 02 6444 3043 oppure 02 6444 3044.
P. S.
Non scrivermi in privato dicendomi “bravo Mizio, hai detto le cose che penso anch’io”. Se lo pensi davvero dammi un like in chiaro oppure scrivilo nei commenti. O, meglio ancora, scrivilo sulle pagine social di quelli che combattono attivamente questa battaglia. Il supporto nascosto non serve a nulla, mentre l’espressione del tuo punto di vista sì, anche se ci vuole un po’ di coraggio in più.
*Questo numero della mizionewsletter tratta il tema delle molestie, mentre il tema dello sfruttamento andrebbe sviluppato a parte. Su questo argomento, ad esempio, non sono d’accordo su quello che scrive l’Espresso: la stessa cosa non vale per tutte le agenzie. Perché se un creativo insegue l’eccellenza è da ingenui pretendere un perfetto work-life balance. L’eccellenza richiede talento, ma anche sacrifici. Succede anche in altri campi: nelle cucine stellate, nelle università, nel mondo della moda. È un tema molto complesso, divisivo, che coinvolge soprattutto la passione, per cui magari cercherò di trattarlo nel prossimo futuro.
The Lost Flowers of Alice Hart.
A mia moglie Paola piacciono le serie drammatiche, a me invece piacciono le serie di pirati, vichinghi e cowboy, cioè tutte quelle dove la gente si massacra senza troppi complimenti né sentimenti, per questo ho fatto fatica ad accettare di vedere The Last Flower of Alice Hart, la serie su Amazon.
L’ho appena finita e mi ha impressionato molto: la consiglio a tutti gli uomini.
Non solo perché è fatta incredibilmente bene, ma perché aiuta a capire cosa significa per una donna subire violenza. E noi uomini che le donne dovremmo proteggerle, dovremmo creare almeno un ambiente più sano per loro, libero dalle molestie.
Anche perché in Italia nel 2023 ci sono già stati più di 80 femminicidi, la molestia sembra niente ma è il primo passo, non giriamoci dall’altra parte.
Insomma, se sei un creativo maschio, il tempo che passeresti a vedere le sette puntate di questa serie sarebbe sicuramente più utile di quello che useresti per pensare la prossima campagna di Purpose Marketing da iscrivere a qualche premio.
Quarto appuntamento con l’ironia tagliente di Sara Palmieri.
Puoi seguire Sara sul suo profilo Facebook, su LinkedIN oppure qui, intanto goditi la sua rubrica GLI SLAVE.
Come dicono quelli fighi: “tratta da una storia vera”.
Fresh Stuff.
Il bel film Human Touch di Auge per Translated lo scorso fine settimana ha vinto il Grand Prix agli ADCI Awards.
Sempre agli ADCI Awards il premio Best Use of YouTube se lo aggiudicano DUDE Milano con Adamo 2050 per Plasmon e LePub con Lady & The Tramp per Barilla.
4 Ori, sempre ADCI Awards, nella categoria Film Craft: il film di Barilla Lady and the Tramp, Ridicolous Excuses Not To be Inclusive di SMALL per Coordown e un Giorno di Pace di Ogilvy per Emergency.
E ora passiamo alle novità fresche fresche da tutto il mondo.
L’agenzia Try di Oslo ha appena realizzato una serie di bellissime creatività per Ikea. Il concetto è La vita non è un catalogo di Ikea. Qui sotto i soggetti Dog e Puke.
First Timers di Marmite è stato ideato dall’agenzia adam&eveDDB di Londra.
Le coppie possono tornare insieme con una pesca oppure grazie a una Toyota Hilux. Agenzia Saatchi&Saatchi Australia.
Sul mio canale YouTube (a proposito iscriviti e attiva la campanellina 🔔 così ti arriva una notifica quando carico nuovi film) nella playlist mizionewsletter #61 puoi vedere tutti i film di questa newslettet con calma, più altri che non hanno trovato spazio, come No Place Like It On Earth per Tourism New Zealand o Tri-Kings di On.
Chi sono.
Mi chiamo Mizio Ratti e faccio il copywriter da più di trent’anni.
Se questo non ti basta posso aggiungere che attualmente sono Direttore Creativo e Partner di due agenzie di comunicazione: Enfants Terribles e Hallelujah. Se poi hai un carattere stalker e vuoi saperne tutto su di me puoi trovare molto di quello che mi riguarda qui: linktr.ee/mizioblog
Tutto molto giusto, ma non sono mai semplici battute. Sono un maschio gay e nel 2012 ho fatto uno stage in un’agenzia di comunicazione: tutti gli altri maschi facevano battute sulle belle donne e sulle gonne delle colleghe. Non è che mi scandalizzassi, ma mi chiedevo: cosa succederebbe se io dicessi “che bel culo che ha il nostro web designer?”. Non credo l’avrebbero presa bene. Non credo lo facessero apposta, ma loro erano tutti in una posizione gerarchica più in alto della mia: avrei davvero potuto rispondere alla loro volgarità con la mia volgarità rivolta verso un maschio? Per 300 euro al mese poi. Per scrivere testi come “leader del settore”. Dai via.
Su una cosa mi permetto di dissentire: lo scontento non inizia dieci anni fa. Lo scontento delle donne verso il trattamento che ricevono sul lavoro inizia almeno dagli anni '50, cioè quando cominciano ad andare a lavorare in massa e si trovano di fronte capi molesti, invadenti, prevaricanti, davanti ai quali non possono reagire, né hanno (ancora) gli strumenti per farlo o l'autocoscienza necessaria a riconoscere quella prevaricazione. La rabbia e l'umiliazione c'erano, mancava la struttura che le incanalasse e le legittimasse. Dagli anni '70 in poi quel lavoro è stato fatto, è stato strutturato, le emozioni hanno un nome e un'origine. Ma c'erano anche prima, ci sono sempre state. Ogni battuta fuori luogo, ogni collega che "ci prova" perché pensa che il posto di lavoro sia un luogo di rimorchio e non un luogo dove le donne vengono a - duh - lavorare, ogni capo che ti manda a fare il caffè e inizia la riunione senza di te, ogni idea rubata e mail mandata senza metterti in copia, tutto si accumula.