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Tutto molto giusto, ma non sono mai semplici battute. Sono un maschio gay e nel 2012 ho fatto uno stage in un’agenzia di comunicazione: tutti gli altri maschi facevano battute sulle belle donne e sulle gonne delle colleghe. Non è che mi scandalizzassi, ma mi chiedevo: cosa succederebbe se io dicessi “che bel culo che ha il nostro web designer?”. Non credo l’avrebbero presa bene. Non credo lo facessero apposta, ma loro erano tutti in una posizione gerarchica più in alto della mia: avrei davvero potuto rispondere alla loro volgarità con la mia volgarità rivolta verso un maschio? Per 300 euro al mese poi. Per scrivere testi come “leader del settore”. Dai via.

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Su una cosa mi permetto di dissentire: lo scontento non inizia dieci anni fa. Lo scontento delle donne verso il trattamento che ricevono sul lavoro inizia almeno dagli anni '50, cioè quando cominciano ad andare a lavorare in massa e si trovano di fronte capi molesti, invadenti, prevaricanti, davanti ai quali non possono reagire, né hanno (ancora) gli strumenti per farlo o l'autocoscienza necessaria a riconoscere quella prevaricazione. La rabbia e l'umiliazione c'erano, mancava la struttura che le incanalasse e le legittimasse. Dagli anni '70 in poi quel lavoro è stato fatto, è stato strutturato, le emozioni hanno un nome e un'origine. Ma c'erano anche prima, ci sono sempre state. Ogni battuta fuori luogo, ogni collega che "ci prova" perché pensa che il posto di lavoro sia un luogo di rimorchio e non un luogo dove le donne vengono a - duh - lavorare, ogni capo che ti manda a fare il caffè e inizia la riunione senza di te, ogni idea rubata e mail mandata senza metterti in copia, tutto si accumula.

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apprezzo davvero il fatto che tu abbia scritto una cosa tipo #menot e abbia continuato a rifletterci per mesi, fino ad arrivare a cambiare idea. il fatto di farlo pubblicamente poi e' merce rara.

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