La dura legge dell'indolenza.
LA MIZIONEWSLETTER RIPRENDE LE PUBBLICAZIONI DOPO 3 MESI DI PAUSA ESTIVA. UN CASO? UNA SCELTA? OPPURE SEMPLICE INDOLENZA? ALMENO TU, RINUNCIA ALLA PIGRIZIA: SCOPRILO SUBITO LEGGENDO QUI SOTTO.
Ciao,
lo so bene: la prima regola per scrivere una newsletter di successo è la costanza. Spesso non conta nemmeno cosa scrivi, l’importante è invece che tu esca tutte le settimane. La stessa regola, oltre che per i divulgatori, vale per i creator e gli influencer, e cioè per tutti coloro che sfruttano le piattaforme digitali.
Per quanto mi riguarda, però, c’è un problema. Anzi due. Il primo è che sono indolente di natura. Il secondo è che non me ne frega niente di essere seguito per abitudine, preferisco essere letto perché porto un punto di vista differente, a volte intelligente e originale. Inoltre, più invecchio più trovo complicato scrivere cose davvero interessanti. Pensi che sia una cosa strana, vero? Aumentando l’esperienza dovrei trovare più semplice scrivere contenuti di spessore, invece è l’esatto opposto. Sento che troppo spesso gli argomenti si ripetano sui social network e che molte newsletter si stiano riempiendo sempre più di banalità.
Questo è il patto che voglio fare con te quest’anno, non scriverò mai solo per scrivere, ma solo quando ne sentirò l’urgenza, a costo di uscire anche solo una volta ogni tre mesi. Detto questo, niente paura, perché non è il caso delle prossime pubblicazioni: la prossima settimana uscirà la seconda puntata di THE CREATIVITY DOGMA.
Coming soon.
Chi sarà mai l’illustre ospite della seconda puntata di The Creativity Dogma? Io lo so (ahahahahah, battutone), a te invece non resta che provare a indovinare scrivendo il suo nome nei commenti. Indizio: è la migliore copywriter italiana di sempre.
Se mi segui sui social, da domani inizierò a dare delle anticipazioni sulla prossima intervista, puoi ingannare l’attesa riguardandoti la prima puntata di The Creativity Dogma, quella con l’intervista a Lorenzo Marini o, ancora meglio, puoi iscriverti al canale YouTube della serie e attivare la campanellina, così appena caricherò la nuova puntata riceverai una notifica.
Se poi c’è un personaggio che più di altri vorresti che io intervistassi in THE CREATIVITY DOGMA, scrivilo nei commenti. Se ricevo più di dieci segnalazioni prometto di contattarlo.
Vieni avanti spicherino.
Ho appena rinunciato a partecipare come speaker a un evento (non lo cito, dico solo che si svolgerà nei prossimi giorni). E non l’ho fatto solo per indolenza.
Dato che ormai ho maturato più di trentacinque anni di professione, succede che spesso venga invitato a parlare da qualche parte. Quando ero giovane accettavo quasi sempre, ultimamente però sono diventato più selettivo, non solo perché credo di essere in grado di dare un contributo importante a qualsiasi evento che si occupa di comunicazione, ma perché con gli anni ho imparato a dare valore al mio tempo.
Ma torniamo all’evento in questione. Dopo essere stato inseguito per un paio di settimane (valutavo la mia disponibilità anche in funzione degli impegni di lavoro), subisco l’ultima insistenza e decido di accettare.
Risultato: nel giro di meno di un’ora mi arriva una mail dal contenuto tipo, “Ok, l’evento lo conosci, scrivi qui, compila là, ci serve la bio, l’abstract, la scheda…”
Ora, lo sanno tutti che ho un carattere di m***a e che sono un ligure burbero che non fa della simpatia la sua skill principale, ma non pensi anche tu che uno invitato a un evento come speaker che gli organizzatori reputano importante non debba essere un minimo lusingato piuttosto di farlo sentire come un pollo in batteria? Insomma, io mi aspettavo una cosa tipo: “Ciao Mizio, siamo davvero felici di averti come nostro speaker, non vediamo l’ora di ascoltare il tuo intervento… ci piacerebbe che parlassi di…”
Ad ogni modo, la conseguenza della loro mail è che mi girano le p***e rispondo ponendo le seguenti domande:
No, non ho ben presente il vostro evento. Raccontatemelo.
Di cosa devo parlare? Qual è il tema dell’evento e della mia giornata?
Quanto deve durare l’intervento?
A quanto corrisponde il gettone di presenza?
E scrivo questa mail sicuro del fatto che il punto critico sarebbe stato il numero 4, perché l’esperienza mi ha insegnato a riconoscere i cialtroni a distanza. E infatti passano ben due giorni e poi arriva la risposta che contiene soprattutto questo concetto: nessuno degli speaker che abbiamo invitato riceve un rimborso spese.
Abbandona i pregiudizi: nonostante le mie origini liguri ho fatto diverse cose pro-bono, le ultime delle quali proprio attraverso questa newsletter, come Mentor for Charity e Mentor for Charity 2, però mi sfugge il motivo per cui io debba andare gratis come speaker a un evento in cui il pubblico paga un biglietto anche sopra i 100 euro. Perché? Se qualcuno lo sa, lo scriva per favore nei commenti.
E così subito dopo vado a vedere gli speaker che parteciperanno gratis a questo evento. A detta dell’organizzazione, più di cento. Più di cento persone che hanno accettato di non prendere niente per il loro intervento, ok? Di queste 100 ne conosco poche, di nome meno di 10, e solo di 3 vorrei conoscere il punto di vista. La maggior parte sono persone che riportano come qualifica CEO di loro stessi.
Alla fine ho capito che dopo il trend dei corsi fuffa sta nascendo una nuova tendenza, quella degli eventi fuffa. E pazienza. Ma c’è una cosa che vorrei ricordare alle persone che accettano di fare gli speaker gratuitamente.
SE IL TUO INTERVENTO È PAGATO ZERO,
IL TUO INTERVENTO VALE ZERO.
Ogni volta che partecipo come speaker mi preparo per bene, investo ore se non giorni di lavoro per scrivere un intervento che sia potenzialmente intelligente e interessante. Perché ho rispetto della mia reputazione e, soprattutto, ho rispetto delle persone che verranno ad ascoltarmi e che per questo pagheranno un biglietto.
Dopodiché, per fortuna c’è chi organizza ancora gli eventi seriamente, quindi i 3 miziodipendenti che pendono dalle mie labbra non potranno ascoltarmi a Milano ma invece dovranno venire fino a Bari.
Sarò infatti presente il 26 ottobre allo Storytelling Festival, evento già sold-out (non certo per merito mio ma per la competenza e la passione dell’agenzia La Content).
Matti dalle Gare.
Quando dico che sono stufo di parlare sempre delle solite cose, mi riferisco anche all’argomento delle gare tra agenzie pubblicitarie, chiamate anche pitch creativi. È un problema di cui si discute da tanti anni e a cui non si è mai trovata una soluzione. Sul tema ho scritto molte volte, l’ultima delle quali nel lontano 2019 su mizioblog.com nel post dal titolo Matti dalle Gare.
Da allora non è cambiato niente, nemmeno il mio punto di vista, almeno in senso generale. Ho cambiato idea solo su una cosa: l’importanza di un rimborso spese per le agenzie che partecipano ai pitch creativi, a prescindere. Fino a cinque anni fa non lo ritenevo necessario, perché pensavo che la cosa più importante fosse la chiarezza sulle regole d’ingaggio. E poi perché nessun rimborso spese avrebbe mai coperto le spese di un’agenzia in gara. Perché ho cambiato idea? Perché ultimamente sono aumentate a dismisura le gare che alla fine non vengono assegnate, e quindi il rimborso potrebbe essere un deterrente per evitare di scatenare corse che finiscono in un nulla di fatto.
A parte questo, credo che la responsabilità principale di questo fenomeno sia delle agenzie che non fanno rispettare la propria professionalità e, soprattutto, delle associazioni di settore che non riescono a mettere d’accordo i propri associati.
Una delle cose più illuminanti che ho ascoltato ultimamente a proposito della crisi del nostro settore, l’ho sentita da Lorenzo Marini proprio durante la registrazione della prima puntata di The Creativity Dogma.
“Uno dei motivi per cui il nostro settore ha perso carisma è perché le agenzie hanno i bilanci in rosso e vanno dai clienti a spiegare come vendere. La domanda che dovrebbe fare un cliente è: - ma lei guadagna? Se ha i bilanci in rosso perché dovrei affidarmi ai suoi servizi?”
Ma cosa vogliamo pretendere da un settore che produce centinaia di speaker che partecipano gratuitamente ad eventi a pagamento?
Mi sono sentito in sintonia con le ultime riflessioni che Vicky Gitto ha rilasciato a Monica Lazzarotto di YouMark. Che ripropone lo stesso concetto che ho espresso io per le partecipazioni come speaker: nessuno dà valore a qualcosa che non paga.
Sono molto meno in sintonia, invece, con il contributo un po’ naif di Consuelo Angioni, Director Bids & Pre-Sales di Alkemy. Sempre su YouMark.
Perché in un momento del genere affermare che “… le gare possono essere molto divertenti… ma non diciamolo a voce troppo alta" serve solo per rafforzare il pregiudizio che le agenzie siano piene di simpatici zuzzerelloni che non vedono l’ora di buttare nel cesso ore di lavoro creativo solo per il fatto di gingillarsi con la fantasia, quando invece il nostro mestiere è fatto di esperienza, competenza e professionalità.
Della creazione di un Team dedicato alle gare poi non capisco una cosa: ma i clienti accettano di buon grado il fatto che ci sia un Team che si occupa solo di pitch? E dopo che il budget viene assegnato cosa succede? Il progetto viene passato ad altre persone? Operai specializzati della creatività che devono ripartire da capo sul know how del brand e del progetto? Mi sfugge il vantaggio per i clienti, insomma.
Che le gare siano diventate un problema, comunque, ce lo dice il mercato.
Nove mesi fa siamo stati invitati a una gara di quelle apparentemente con tutti i crismi: Advisors, NDA, Longlist, Chemistry Meeting, Shortlist. Tutto tranne il rimborso spese, naturalmente. E poi un progetto enorme ma solo un’ora di tempo per esporlo. E infatti la mia inc*******a esplicita era partita già durante la presentazione, tanto che uno dei micro-manager del brand ha voluto darci il feedback solo per dirmi in faccia che con la nostra agenzia non si era sviluppato un rapporto empatico (la migliore perifrasi di sempre per dirmi che ero stato toppo sarcastico in presentazione).
Ma la cosa interessante è che dopo soli 9 mesi hanno rifatto un’altra gara e dato il budget a un’altra agenzia, che significa che, nonostante tutto, la prima decisione è stata sbagliata, e che in meno di una anno tra longlist varie hanno scassato le scatole ad almeno venti agenzie. Ecco, in questo caso, se avessero dovuto dare un minimo rimborso a tutte avrebbe di certo fatto scelte più ponderate e intelligenti.
Chi sa fa, chi non sa insegna.
Mai come in questo momento questo adagio sembra azzeccato.
La settimana scorsa mi ha scritto un mio ex allievo di Accademia di Comunicazione chiedendomi consigli su corsi di aggiornamento che potesse seguire online. La mia risposta è stata: nessuno. Risparmia i soldi.
A parte qualche piccola eccezione, i corsi che trovi online sono da fuggire come la peste, sia quelli sul Copywriting, sia quelli sull’Intelligenza Artificiale sia quelli per diventare la Migliore Versione di Se Stessi.
È successo che dopo il lockdown tutti si sono messi a insegnare qualcosa, a prescindere dalle competenze, perché era facile organizzare una piattaforma online, e perché la gente, oltre a essere superficiale, era spaventata dall’incombente innovazione.
Non ho niente contro un professionista che decide di insegnare in un corso serio, ce l’ho invece contro gli improvvisati che speculano sull’ignoranza e la disperazione delle persone e che trasmettono speranze vane facendo credere che un mestiere complesso come quello del copywriter si possa imparare in poche settimane e che faccia arricchire. Ultimamente, i corsi improvvisati hanno raggiunto un altro preoccupante livello di mancata trasparenza, tanto che si potrebbe coniare una nuova affermazione:
CHI SA FA, CHI NON SA… FUFFA!
Anche se in realtà la parola più adeguata non sarebbe Fuffa, ma qualcosa che fa rima.
Sono incappato per caso su un’indagine ben documentata di Beatrice Elerdini su you-ng.it di Germano Milite. Se tutto quello che you-ng.it scrive su Riccardo Pirrone e la sua Associazione ANSMM (Associazione Nazionale Social Media Manager) è vero, soprattutto il fatto che l’Associazione non ha nessun patrocinio da parte del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, allora forse potremmo avere a che fare con gli imbonitori del XXI secolo. Non do ancora un giudizio di merito ma sono curioso di approfondire la faccenda.
Se anche tu vuoi farti un’idea sulla vicenda, prova a leggere questo articolo QUI.
Insieme alla mizionewsletter torna anche Sara Palmieri con la sua rubrica I Clienti. Puoi seguire Sara sul suo profilo Facebook, oppure su LinkedIN.
Fresh Stuff.
La nuova campagna Levi’s porta il titolo Reiimagine e intende reinterpretare le più celebri campagne dello storico brand di jeans. Nel primo capitolo di questa serie la regista Melina Matsoukas reinterpreta lo spot Launderette del 1985. La protagonista del film è Beyoncé, l’agenzia è TBWA/Chiat/Day, la cdp De la revolucion/Prettybird.
Parere personale? Molto meglio la versione originale con Nick Kamen e la musica I Heard It Through the Grapevine di Marvin Gaye.
Brian Cox, l’attore che ha interpretato il mitico Logan Roy in Succession è il protagonista di questo film di Asics dal titolo The Desk Break.
Wear Wool, Not Waste è il bellissimo film ideato dall’agenzia 20 (Something) per Woolmark. Cdp Park Pictures, regia di Jorik Dozy.
Come sempre, ti ricordo che puoi guardare tutti i film presenti in questa newsletter comodamente sul mio canale YouTube, inoltre ho aggiunto molti altri spot di film di brand come Volkswagen, Telstra, Repco, John Lewis, Hellmann’s, Kit Kat, Guinness, Apple Watch, Heineken. La playlist di questa edizione è la mizionewsletter #77.
Chi sono.
Mi chiamo Mizio Ratti e faccio il copywriter da più di trent’anni.
Se questo non ti basta posso aggiungere che attualmente sono Direttore Creativo e Partner di due agenzie di comunicazione: Enfants Terribles e Hallelujah. Se poi hai un carattere stalker e vuoi saperne tutto su di me puoi trovare molto di quello che mi riguarda qui: linktr.ee/mizioblog
ce ne venivano tre di newsletter :)
Risposta alla prima domanda: Annamaria Testa?