The Copycat 3/11
CONTINUA LA VERSIONE ESTIVA DELLA MIZIONEWSLETTER CON IL TERZO CAPITOLO DEL MINI-THRILLER PUBBLICITARIO "THE COPYCAT". IN QUESTO EPISODIO L'OMICIDIO DI UN ALTRO COPYWRITER FAMOSO: PAOLO GIACOBINO.
Ciao,
ti ricordo che le normali pubblicazioni della mizionewsletter riprenderanno a settembre, ma durante questa pausa estiva ho deciso comunque di tenerti compagnia con il mini-thriller pubblicitario estivo THE COPYCAT.
Eccoci alla terza puntata di undici.
Se ti sei perso le precedenti, puoi leggere direttamente dai link il primo capitolo THE COPYCAT, oppure il secondo capitolo IL COMMISSARIO BERNI.
Altrimenti trovi un breve riassunto più sotto.
Nelle puntate precedenti.
Il copywriter Fabio Palombella viene trovato ucciso nei bagni di una multinazionale dell’advertising. L’omicidio ricorda il primo delitto descritto da Giorgio Faletti nel suo libro “Io uccido”: la vittima ha il volto mezzo scarnificato e sopra il corpo c’è scritto con il sangue IO AMAZZO, con una emme sola. A capo delle indagini c’è la commissaria Annamaria Rizzo, soprannominata il Commissario Berni, e figlia di un famoso ex copywriter, Paul Rizzo, che soffre di demenza senile e che ormai riesce ad esprimersi solo con slogan degli anni ‘80 e ‘90.
Uno studio di registrazione in rosso.
La scena del crimine lei la conosce bene, l’ha immaginata trent’anni prima quando ha letto il suo primo giallo. Un uomo è sdraiato a pancia in su dentro uno studio di registrazione che ha le parteti coperte di pannelli fonoassorbenti rossi. Sul vetro che divide l’ambiente con i microfoni dalla zona di registrazione e di mixaggio c’è scritta la parola RACHE, in rosso, con un liquido che a prima vista sembra sangue. Il paradosso è che la vittima non presenta ferite.
Annamaria si inginocchia vicino alla vittima e annusa. Ha la conferma di ciò che pensava: il corpo emana un cattivo odore che non ha nulla a che fare con i consueti odori della morte e della decomposizione.
– Commissario Berni, ha sentito? – le chiede Nerozzi, il responsabile della scientifica.
– È stato avvelenato?
– È un’ipotesi plausibile, – le risponde Nerozzi, – da cosa lo desume?
– Perché da bambina ho letto Lo studio in rosso di Arthur Conan Doyle.
L’uomo della scientifica la guarda inebetito, come se non capisse, allora Annamaria Bernbach Rizzo si spiega meglio: – Lo studio in rosso è il primo giallo in cui Sherlock Holmes appare come protagonista, e la scena dell’omicidio è identica a questa. Scommetto che sotto il corpo troveremo una piccola fede nuziale.
Il responsabile della scientifica continua a guardarla sorpreso, poi si riprende dallo stupore e inizia a frugare con delicatezza sotto il cadavere: non ci mette molto a trovare la piccola fede nuziale che Annamaria gli ha preannunciato. Nel frattempo si avvicina a loro anche Alfio Casella, il vice commissario. Annamaria si trattiene dal chiedergli perché sia venuto sulla scena del crimine da solo, senza avvertirla. Conosce già la risposta, e per questo gli chiede informazioni sull’identità della vittima.
– Si chiama Paolo Giacobino, è un altro copywriter molto noto nell’ambiente, è stato direttore creativo di grandi agenzie ma ultimamente lavorava come libero professionista. Da molti è considerato il profeta del Purpose Marketing, per questo è uno che tiene spesso conferenze. Anzi, teneva – le risponde Casella
– Un’altra vittima, un altro copywriter.
– Commissario Berni, non so se ha notato la scritta sul vetro. Secondo me l’assassino voleva scrivere il nome di una donna, RACHELE, ma è stato interrotto.
– RACHE in tedesco significa vendetta, – le risponde sprezzante Annamaria, poi si allontana e lo lascia lì, stupito e incredulo. Vuole umiliarlo, quindi non gli spiega che quella non è un’intuizione sua, ma piuttosto quella di un personaggio di fantasia, prestigioso quanto si vuole ma pur sempre di fantasia, che si chiama Sherlock Holmes e che è stata fatta in un romanzo giallo quasi centocinquant’anni prima.
Se Annamaria Bernbach Rizzo non fosse appassionata di romanzi gialli in questo preciso istante dovrebbe impegnarsi a collegare tutta una serie di puntini incongruenti fra loro: un uomo avvelenato e un altro ucciso con un coltello, quasi scuoiato, e poi una piccola fede femminile trovata sotto un corpo, e ancora due scritte fatte con il sangue, la prima con un errore grammaticale e la seconda che reclama vendetta. Ma sa che tutti questi indizi la porterebbero a un rebus impossibile da risolvere, mentre la narrativa dei due omicidi su cui sta indagando le dice qualcosa di diverso: c’è qualcuno che sta uccidendo dei copywriter e lo fa rimettendo in scena delitti di libri gialli famosi. Io Uccido di Giorgio Faletti nel caso di Fabio Palombella, Lo studio in Rosso di Arthur Conan Doyle per Paolo Giacobino.
Ma le scene hanno qualcosa a che fare con le vittime oppure sono scelte a caso? E la scritta con il sangue, cosa che hanno in comune entrambi gli omicidi, perché una volta è in tedesco e una volta ha un errore di grammatica? L’errore è voluto oppure l’assassino non conosce bene l’italiano, è straniero e magari proprio tedesco?
La scritta riporta un altro punto in comune fra i due delitti. La commissaria scommette che il sangue di quest’ultima, RACHE, sia quello di Fabio Palombella, la prima vittima. Nella prima scena del crimine c’era una strana forma circolare in mezzo alla pozza di sangue vicino al water. Annamaria è sicura che sia quella di un secchio in cui l’assassino ha raccolto il sangue di Palombella quando ha provato a scorticargli la faccia. E che lo stesso sangue sia stato usato per comporre la scritta RACHE sul vetro. È la prima vera intuizione che ha, indipendentemente dai suggerimenti che le hanno dato Faletti e Arthur Conan Doyle nei loro romanzi.
Annamaria decide di abbandonare la scena del crimine: lì non c’è più niente che possa fare né nulla che possa dedurre. Saluta il responsabile della scientifica e ignora il suo vice commissario. Esce dal palazzo e lì fuori la coglie di sorpresa una cosa imprevista: ad aspettarla, come in un agguato, ci sono decine di giornalisti e diverse troupe televisive. Capisce che tutta quella curiosità non è dovuta al fatto che a Milano ci siano stati due omicidi nel giro di appena una settimana, ma che potrebbero essere stati compiuti da un serial killer. Ha una reazione istintiva: indossa il casco, salta al volo sulla sua moto e l’accende in un’istante. Quindi scappa via sgommando.
Non ha mai amato le interviste, ma questa volta non saprebbe neppure rispondere alle loro domande. Stiamo avendo a che fare davvero con un serial killer? Non lo sa. Perché non sono sufficienti due omicidi per definire un omicida seriale, e poi non c’è ancora la certezza che i due delitti siano collegati. E poi perché vengono uccisi i copywriter? Non sa neppure questo. Che le due vittime facciano lo stesso mestiere potrebbe essere casuale, magari l’omicida le conosceva entrambe. Oppure potrebbe trattarsi di un macabro scherzo del destino, due omicidi completamente diversi per due persone che non si conoscevano tra loro, ma che hanno in comune la stessa professione.
Mentre corre con la moto sul pavé parallelo al Naviglio Grande, Annamaria cerca di isolare i suoi pensieri dai continui sobbalzi della sua scatola cranica all’interno del casco. E nonostante tutto riesce a pensare e arriva alla conclusione che deve partire da lì: capire se le due vittime si conoscevano e cosa avevano in comune Ma anche se scoprisse che c’è un legame, poi come potrebbe spiegare che in giro c’è un folle che ammazza innocui copywriter? Quale potrebbe essere il motivo? Giacobino e Palombella avevano dei nemici? Suo padre era uno di loro e i rancori nella categoria dei pubblicitari si limitavano a invidie puerili, come quello che aveva vinto un premio più di un altro, oppure screzi su campagne finte e copiate. Ma questi fatti potevano giustificare una serie di omicidi?
L’unica cosa chiara ad Annamaria è che la possibilità che ci sia in giro un serial killer di copy è uno scenario che in fondo agli abissi del suo animo non le dispiace affatto. Era da quando aveva cinque anni che reputava quel mestiere il responsabile della sparizione della madre, e il fatto che qualcuno le stia rendendo giustizia le fa provare un senso intimo e vergognoso di piacere. Un sentimento che sa bene non essere sano, un piacere che non le rende onore, e che prova a cancellare inclinando il polso al massimo ed entrando con la moto a tutto gas nella circonvallazione esterna milanese.
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Altre cose da leggere quest’estate.
Io ho appena finito CAVALLI SELVAGGI di Cormac McCarthy, scrittore scomparso un mese fa e vincitore del Pulitzer nel 2007 con il romanzo postapocalittico LA STRADA. Ma probabilmente è più conosciuto per aver scritto il libro da cui è tratto il film dei fratelli Cohen NON È UN PAESE PER VECCHI.
CAVALLI SELVAGGI fa parte della Trilogia della frontiera, insieme a OLTRE IL CONFINE e CITTÀ DELLA PIANURA. È un bel libro, scritto bene, che si divora. Aggiungo solo che, forse, è consigliato a chi ha gusti più maschili in quanto parla di cowboy. Cowboy contemporanei, è vero, ma pur sempre cowboy.
“Questo libro dovrebbe essere consegnato come welcome-kit a tutti i nuovi ingressi di un reparto creativo e non solo. E chissà che un giorno a venire nelle mail delle agenzie si possa assistere al miracolo. Quello del ritorno del verbo condividere al posto del verbo sharare”
Quelle sopra sono le parole di Sergio Rodriguez, direttore creativo di lungo corso di grandi agenzie, a proposito del libro di Doriano Zurlo CON LE PAROLE SI FANNO MIRACOLI - NOTE SULLA SCRITTURA PUBBLICITARIA E SUL LINGUAGGIO motivo per cui vi suggerisco ancora una volta di leggerlo.
Potete acquistarlo qui.
Chi sono.
Mi chiamo Mizio Ratti e faccio il copywriter da più di trent’anni.
Se questo non ti basta posso aggiungere che attualmente sono Direttore Creativo e Partner di due agenzie di comunicazione: Enfants Terribles e Hallelujah. Se poi hai un carattere stalker e vuoi saperne tutto su di me puoi trovare molto di quello che mi riguarda qui: linktr.ee/mizioblog
Sono di Lerici, anche se sono emigrato a Milano negli anni ‘90, e sicuramente passerò lì qualche giorno quest’estate. Quindi, se dovessi passare anche tu dalla Liguria, mi raccomando: non mi cercare e non provare a contattarmi. Perché i liguri sono poco ospitali, e io non faccio eccezione, specie con i foresti e soprattutto d’estate. Ma sono comunque sufficientemente gentile da augurarti buone vacanze :-)