Lo zio Checco (The Copycat 6/11).
DOPO PIETRO ALLIEVI ENTRANO NELLA STORIA ALTRI NUOVI PERSONAGGI. LI RICORDA FRANCESCO ROMAGNOLI, CONOSCIUTO DALLA COMMISSARIA BERNI COME LO ZIO CHECCO. IL MINI-THIRLLER ENTRA SEMPRE PIÙ NEL VIVO.
Ciao,
se sei uno fra gli oltre duemila lettori del mio mini-thriller pubblicitario estivo, volevo dirti “grazie di cuore”. Non potevo prevedere come sarebbe potuto andare questo piccolo esperimento estivo, cioè il feuilleton digitale della mizionewsletter, che abbia funzionato e che tu continui a leggerlo mi dà le motivazioni necessarie per continuare.
Anche perché la trama di THE COPYCAT sta entrando nel vivo. Al momento nessuno ha ancora indovinato l’assassino, ma secondo le mie previsione dalla puntata numero sette (cioè dalla prossima) qualcuno inizierà a capire molte cose.
Se invece sei fra quelli che non vedono l’ora che ritorni alle pubblicazioni normali, non ti preoccupare: sto preparando per settembre un’edizione speciale della mizionewsletter, dedicata tutta alla pubblicità. Pazienta ancorra qualche settimana.
Se infine sei fra gli indecisi, tipo leggo il mini-thriller oppure aspetto settembre quando la mizionewsletter torna a parlare di comunicazione, perché prima di decidere non leggi le puntate precedenti?
Eccole: il primo capitolo si intitola THE COPYCAT, il secondo IL COMMISSARIO BERNI, il terzo UNO STUDIO DI REGISTRAZIONE IN ROSSO, il quarto DIO, PATRIA E FAMIGLIA, il quinto IL PROFILER MANIACALE, oppure puoi ripassare la trama con il riassunto più sotto.
Nelle puntate precedenti.
Il copywriter Fabio Palombella viene trovato ucciso dall’uomo delle pulizie nei bagni di una multinazionale dell’advertising. L’omicidio ricorda il primo delitto descritto da Giorgio Faletti nel suo libro “Io uccido”: la vittima ha il volto mezzo scarnificato e sopra il corpo c’è scritto con il sangue IO AMAZZO, con una emme sola. Una settimana dopo viene eliminato un altro copywriter famoso, Paolo Giacobino, anche questa volta copiando un altro omicidio letterario famoso, quello scritto da Arthur Conan Doyle (inventore di Sherlock Holmes) in UNO STUDIO IN ROSSO. Infine, la terza settimana, viene trovato ucciso Pietro Allievi sul set dello spot della Xamamina, in una situazione che ricorda ASSASSINIO SULL’ORIENT EXPRESS. A capo delle indagini c’è la commissaria Annamaria Rizzo, soprannominata il Commissario Berni, e figlia di un famoso ex copywriter, Paul Rizzo, che soffre di demenza senile e che ormai riesce ad esprimersi solo con gli slogan degli anni ‘80 e ‘90. Ma poco prima del terzo omicidio, il Questore Antonino Cirinnà la costringe ad avvalersi della consulenza del profiler Anselmo Facheretti che è convinto che il serial killer uccida per problemi di identità sessuale. Ma alla Commissaria il nome di Allievi ricorda qualcosa: è uno dei vecchi colleghi del padre. Non potendo chiedere informazioni a Paul Rizzo a causa della sua demenza senile, Annamaria va a trovare lo zio Checco, una vecchia conoscenza della pubblicità: Francesco Romagnoli.
Lo zio Checco.
Lo zio Checco in realtà non è uno zio, o meglio non è lo zio di Annamaria Bernabach Rizzo. Probabilmente ha qualche parente sparso per l’Italia, specie a Roma, città dalla quale proviene, ma non ha nessun legame di sangue con il commissario Berni.
Francesco Romagnoli è stato il miglior amico di Paul Rizzo, e lo sarebbe ancora se il padre di Annamaria fosse in grado di avere relazioni interpersonali. I due si erano conosciuti da giovani quando entrambi erano copywriter junior in qualche piccola agenzia pubblicitaria italiana, poi avevano continuato a frequentarsi quando le loro carriere avevano preso strade diverse.
Dopo la scomparsa della madre di Annamaria, Checco era stato molto vicino a Paul, tanto che cenava quasi tutte le sere a casa loro. Annamaria si era affezionata a lui e aveva iniziato a chiamarlo zio.
Francesco Romagnoli aveva smesso di fare il copywriter più di dieci anni prima. Aveva rinunciato alla carriera non appena aveva capito che quello non era più il mondo che aveva amato da giovane, quello in cui poteva essere brillante ed esprimere la sua fantasia. Lo aveva mollato quando aveva raggiunto la definitiva consapevolezza che la creatività aveva perso, che il digital aveva rivoluzionato le regole del gioco e che il marketing, il vero vincitore del settore, cominciava a produrre comunicazione come se la gente fosse idiota. E lui non riusciva a pensare idee per gli stupidi, aveva troppo rispetto per se stesso e per il suo lavoro. Per sua fortuna era stato uno degli ultimi copywriter a guadagnare bene, così era riuscito a coronare uno dei sogni ricorrenti dei pubblicitari anni ottanta: aprire un agriturismo.
Puerto Escondido, così lo aveva chiamato, era un vecchio casale in provincia di Piacenza, a una decina di chilometri da Borgonovo Val Tidone, che aveva ristrutturato con i suoi risparmi. Checco Romagnoli si era tenuto per sé la camera più grande, quella in cui viveva, mentre affittava le altre ai turisti per arrotondare la pensione.
Non è la prima volta che Annamaria va a trovarlo, ma è la prima volta che ci mette meno di un’ora partendo da Milano. Deve rallentare con la moto solo quando la strada inizia a salire verso la collina e le curve diventano meno dolci. Qualcuno le ha detto che poco prima di Borgonovo hanno installato degli autovelox, ma lei se ne frega. Al peggio si farà togliere le multe, d’altronde sta andando là per un’indagine importante.
La stradina che dalla provinciale conduce a Puerto Escondido è sterrata, la polvere la avvolge completamente, tanto che deve decelerare ancora, e ancora, finché la visibilità migliora e vede da lontano l’aia del casale e lo zio Checco che gioca a bocce con una coppia di turisti tedeschi. Anche lo zio la vede e la saluta con un braccio.
La giornata è bella, assolata, e lo zio Checco la fa accomodare a un tavolino di legno fuori dal casale. Prende un fiasco di vino rosso e due bicchieri di vetro, li riempie.
– Mi fa piacere vederti, ma devo ammettere che sono sorpreso, – dice lo zio Checco guardandola negli occhi, – erano anni che non venivi più… – poi fa una pausa e le fa la domanda che era rimasta sospesa nell’aria, – è successo qualcosa a Paul?
– No, zio, – risponde Annamaria, – papà sta bene… o almeno come sempre… sono qui per lavoro.
Lo zio Checco non replica , ma sorseggia il suo vino come a farle capire che la ascolta.
– Non so se hai letto i giornali, ma a Milano sembra che ci sia qualcuno che uccide i copywriter. E io sto dirigendo le indagini. L’ultima vittima si chiamava Pietro Allievi, e mi sembrava di ricordare che fosse un vecchio collega di papà.
– Non leggo più i giornali, perché il giornalismo non vale più niente, ha fatto la stessa brutta fine della pubblicità, ma mi ricordo di Pietro Allievi, sì, vieni che ti racconto, – e le fa cenno di seguirla nell’orto dell’agriturismo.
Lo zio Checco prende una manichetta e inizia a innaffiare una verdura nell’orto, anche se Annamaria non saprebbe dire cosa sia, per lei potrebbe trattarsi di qualsiasi vegetale.
– Comunicazione, informazione, e tutto il cosiddetto terziario avanzato è morto, non mi interessa più. Questo è quello che invece mi appassiona adesso: l’orto, l’agricoltura. Mi piace vedere le cose crescere dal nulla, mi piace assistere al miracolo della natura, i semi che si trasformano in frutti e che diventano sostentamento per le persone, è qualcosa di tangibile, utile, non come tutte quelle cazzate effimere che producono la pubblicità o la moda.
Gli ex e i convertiti sono sempre i peggiori, pensa Annamaria, i più critici nei confronti delle passioni del passato. E come gli ex fumatori, non tollerano neanche il più impercettibile odore delle sigarette. Spera solo che il pippone dello zio Checco non duri troppo. È fortunata.
– Ricordo bene Pietro Allievi.
Annamaria resta in silenzio, nella speranza che lo zio Checco continui il suo racconto, ma prima deve sorbirsi altri cinque minuti di soliloquio sul miracolo dei ravanelli.
– Tuo padre conosceva Allievi fin dai tempi della SCM, ancora prima che io e lui ci incontrassimo per la prima volta, – riprende a raccontare lo zio Checco, – vedi Berni, lo Studio Comunicazione Moderna era un’agenzia mitica a qui tempi, una delle migliori boutique creative italiane, e da lì sono passati quasi tutti i creativi migliori degli anni ottanta.
– Ci hai lavorato anche tu? – gli chiede Annamaria.
– No, io ho iniziato a lavorare più tardi, quando l’SCM non era più in auge e con tuo padre ci siamo incrociati in una delle agenzie inglesi che hanno aperto da noi.
– Ricordi per caso se mio padre ti aveva parlato anche di Fabio Palombella e di Paolo Giacobino? Se anche loro hanno lavorato lì? – lo incalza Annamaria.
– Non ricordo se me ne ha parlato, ma posso dirti con certezza che anche loro hanno lavorato in quell’agenzia. La SCM era ambita da tutti quelli che volevano entrare in pubblicità e i creativi che ci lavoravano erano visti come star. Rizzo, Allievi, Palombella, Giacobino… poi c’era anche il mitico Pino Spilla, che poveretto è morto sette anni fa, e Gerardo Cecchi Paone, che ha mollato tutto e sembra si sia trasferito negli Stati Uniti… sono quelli che mi ricordo, ma da lì è passata davvero tanta gente…
– Dove potrei trovare la lista dei copywriter che ci hanno lavorato? – domanda Annamaria.
– Eh! La SCM ha chiuso da chissà quanto tempo. Potresti provare a sfogliare gli annual di quegli anni e guardare i credits delle campagne. Metà delle campagne premiate allora erano firmate da loro.
– Ho da chiederti un’ultima cosa, zio: pensi che sia possibile che qualcuno di questi copywriter abbia nutrito così tanto rancore nei confronti degli altri da volerli uccidere dopo così tanti anni?
La risata di Checco Romagnoli è dirompente, passano alcuni minuti prima che riesca a rispondere: – Berni, stiamo parlando di narcisisti cronici, vanitosi che vivevano di competizione e che si facevano i peggiori dispetti pur di primeggiare. Ho assistito a scene incredibili per la semplice attribuzione di un credit, gente che non si è parlata per anni solo perché qualcuno era andato al Festival di Cannes piuttosto di un altro. Erano bambini viziati e stupidi, ma appunto bambini, e intellettuali, capaci solo di produrre parole. Nessuno di loro avrebbe le palle per fare il serial killer.
– Uhm, – annuisce Annamaria riflessiva, – un branco di immaturi, quello che ho sempre pensato anch’io, ma resta il fatto che c’è qualcuno che sta uccidendo i copywriter dell’SCM. E se non è uno di loro, chi potrebbe essere?
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Altre cose da leggere quest’estate.
Dopo aver letto le prime puntate del mio mini-thriller pubblicitario, un caro amico mi ha suggerito di leggere IL SUGGERITORE di Donato Carrisi.
Ora, io non sono un appassionato di gialli (e la cosa è buffa perché te ne sto propinando uno, anche sei in realtà THE COPYCAT è più un gioco che un thriller), perdipiù avevo iniziato un libro di Carrisi in passato e lo avevo lasciato perdere dopo poche pagine.
Però mi sono liberato dei i miei pregiudizi sul genere e sull’autore e l’ho letto. Risultato: l’ho finito in appena due giorni.
È evidente che IL SUGGERITORE è il libro migliore in assoluto di Donato Carrisi, perché grazie ai suoi continui colpi di scena ti tiene sempre incollato alla trama. Un’ottimo giallo da leggere in spiaggia, una lettura semplice ma molto avvincente.
Chi sono.
Mi chiamo Mizio Ratti e faccio il copywriter da più di trent’anni.
Se questo non ti basta posso aggiungere che attualmente sono Direttore Creativo e Partner di due agenzie di comunicazione: Enfants Terribles e Hallelujah. Se poi hai un carattere stalker e vuoi saperne tutto su di me puoi trovare molto di quello che mi riguarda qui: linktr.ee/mizioblog
Sono di Lerici, anche se sono emigrato a Milano negli anni ‘90, e sicuramente passerò lì qualche giorno quest’estate. Quindi, se dovessi passare anche tu dalla Liguria, mi raccomando: non mi cercare e non provare a contattarmi. Perché i liguri sono poco ospitali, e io non faccio eccezione, specie con i foresti e soprattutto d’estate. Ma sono comunque sufficientemente gentile da augurarti buone vacanze :-)